I
Stagione di nebbie e di fertile abbondanza,
amica prediletta del sole che tutto matura,
con il quale cospiri per colmare e benedire
di grappoli i tralci allacciati ai tetti di canne
e curvare col peso delle mele gli alberi di casa,
per riempire di polpa matura ogni frutto
e gonfiare la zucca e i gusci delle nocchie
di teneri noccioli, e fiori, altri fiori tardivi
far fiorire per le api, illudendole che i giorni
di caldo non avranno più fine, che l’estate
fino all’orlo ha riempito le celle viscose.
II
Chi non t’ha vista immersa nell’opulenza?
Chi ti cerca all’aperto a volte può trovarti
seduta distratta in un’aia, coi morbidi capelli
al vento che li vaglia; o immersa nel sonno,
stordita dai vapori che esalano i papaveri,
in un solco mietuto a metà: il falcetto risparmia
altre spighe ed i fiori con esse intrecciati;
o mentre attraversi un torrente, rigido il capo
gravato dal peso, come una spigolatrice,
o che, con sguardo paziente, sorvegli per ore
stillare dal torchio del sidro le ultime gocce.
III
E dove, dove sono i canti della primavera?
Oh, ma non curartene, hai musica anche tu.
Mentre nubi striate fioriscono il giorno che muore
dolcemente tingendo di rosa le stoppie
di pianura, tra i salici del fiume i moscerini,
sollevati o lasciati cadere dal vento leggero
quando alita o muore, s’affliggono in funebri
lamenti, gli agnelli già adulti belano con forza
dai colli intorno, cantano i grilli dalla siepe,
dal recinto di un orto fischia con soavi accenti
il pettirosso, e garrule in cielo s’adunano le rondini.
John Keats, Sull’indolenza e altre odi, Il Labirinto, 2010
Trad. F Dalessandro