“Perché restano in silenzio?
Perché si vergognano di appartenere alla propria nazione? Se la traversata va male sono disposti a emigrare di nuovo, incuranti della morte. Perché, allora, se la loro patria li delude una volta, rifiutano di lanciarsi in una nuova avventura? Perché la patria non merita che si tenti ancora e ancora? La fuga è più semplice del confronto? O forse affrontare la morte è più dolce e subire l’arroganza europea meno duro?”.
Razan Moghrabi * LE DONNE DEL VENTO ARABO
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All’improvviso si alzarono le onde e l’imbarcazione sobbalzò con violenza, facendo svegliare chi dormiva per sottrarsi all’attesa e alla paura.
Quelli che se ne stavano in silenzio ebbero un tuffo al cuore e si rifugiarono contro la parete di legno della barca. Da lì emanava odore di vernice fresca, che si mescolava a quello del carburante caricato in fusti e a quello dei residui di pesce ancora attaccati alle vecchie reti.
Quei bidoni di metallo facevano da sedia per qualche fortunato. Una nuova scossa, uno spostamento più forte a destra, e alcuni scivolarono dall’altra parte. Le grida soffocate di chi era in preda al panico persero ogni freno e crebbero di intensità, mentre le voci impegnate a calmarle si perdevano nella confusione, nel frastuono e nell’oscurità. I passeggeri sul ponte erano i più inquieti e spaventati, e col rumore dei piedi terrorizzavano quelli nascosti all’interno. Appena si alzavano le onde e cresceva l’agitazione, aumentavano anche la paura e la tensione, e l’urina di bambini e adulti atterriti iniziò a scorrere verso i piedi di chi sedeva a terra.
Razan Moghrabi * LE DONNE DEL VENTO ARABO
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Lei era stata vittima di un imbroglio, insieme a migliaia dei tanti che sognavano di emigrare. Quelle persone non si arrendevano, ma provavano una seconda volta e poi una terza, fino ad annegare o a farcela.
Quella volta Umm Farah aveva detto: «La cosa più bella per noi fu tornare sani e salvi sulla spiaggia di Tripoli».
Razan Moghrabi * LE DONNE DEL VENTO ARABO
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Tripoli è una città dal carattere sempre mutevole e dalle atmosfere imprevedibili. Ama l’agio e lo svago, perciò lascia che le curve e gli incroci si trasformino spesso in un angolino dove servire caffè preparato in fretta. Ogni mattina sceglie un modo diverso di farlo, al quale dà un nome particolare e sorprendente. Chi si abitua a prendere un caffè così, se parte, non trova nulla di simile al piacere di gustare quella bevanda veloce servita nelle sue caffetterie.
Razan Moghrabi * LE DONNE DEL VENTO ARABO
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Quel registratore, la memoria che Bahija si è portata dietro in viaggio, avrebbe potuto non far ritorno. Sarebbe potuto affondare nelle acque salate del mare mentre lei nuotava. Ma lei lo ha tenuto con gran cura perché, come dice nella lettera che mi ha indirizzato, desidera divenga parte del romanzo che scriverò. Ed eccomi in una fase embrionale, in cui non sono ancora riuscita a colmare i vuoti
Razan Moghrabi * LE DONNE DEL VENTO ARABO
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Sono quella donna che rimane
in silenzio quando il suo cuore
scoppia di emozioni.
Quella donna che delle tue parole
ne fa dei silenzi, lei che accoglie
nel suo utero la tua solitudine.
Succube delle tue oppressioni, sorda
alla vita che gli passa accanto e non
la sfiora.
Vorrebbe morire quando una musica
struggente agita in lei, desiderio,
tristezza, quando nessuno la vede
chiude gli occhi e sogna.
Non è una scatola vuota, priva di senso,
il suo cuore batte e scandisce il tempo.
Gli occhi e le mani raccontano i suoi giorni
che ti regala, tua compagna, felice della
sua pagina bianca dove scrive e mai si prende
sul serio…………
(Mirella Narducci)
Nulla è per caso il nostro cammino è lastricato dalle sensazioni che osiamo provare e ci portano dritto dritto verso i sogni che osiamo sognare. Poi c’è chi crede che tutto sia un caso così non prova, e non sogna.
Stephen Littleword, Nulla è per caso
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Il caso? Difficile dire che non esiste, ma in qualche modo mi andavo convincendo che gran parte di quel che sembra succedere appunto “per caso”, siamo noi che lo facciamo accadere; siamo noi che, una volta cambiati gli occhiali con cui guardiamo il mondo, vediamo ciò che prima ci sfuggiva e per questo credevamo non esistesse. Il caso, insomma, siamo noi.
Tiziano Terzani, Un indovino mi disse
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La telefonata di un vecchio amico che non sentivamo da anni e al quale un istante prima avevamo pensato, la sensazione di doverci recare per qualche oscuro motivo in un dato luogo, un oggetto che cercavamo da tempo e che, inaspettatamente, ci viene donato da una persona ignara della nostra ricerca… sono tutte coincidenze che si spingono al di là del semplice caso e che non è possibile accantonare come eventi fortuiti.
Frank Joseph, Il Potere delle Coincidenze
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Pensate che le cose vi accadano semplicemente per caso?
Non esiste il caso o la coincidenza in questo regno. E nessuno è vittima della volontà o dei piani altrui. Voi avete pensato e sentito tutto ciò che vi accade nella vostra vita. Lo avete prodotto fantasticando sul “come sarebbe se” o temendo qualcosa, o accettando come verità ciò che qualcun altro vi ha detto.
Tutto ciò che accade, accade come atto intenzionale prodotto attraverso il pensiero e le emozioni. Tutto.
Ramtha, Dio in te, The white book
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Se partiamo dal presupposto che niente succede per caso, nel senso che tutto quanto ci accade è potenzialmente significativo, molte delle storie d’amore sincronistiche sembrano indicare due verità distinte riguardo al ruolo delle nostre relazioni. Anzitutto, la persona che più di ogni altra può aiutarci a crescere non è sempre quella verso cui proviamo una iniziale attrazione.
Robert Hopke, Nulla Succede per Caso
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A volte le cose, gli avvenimenti, sembrano accadere per caso, ma il caso non è mai casuale, è li che ti aspetta a modo suo.
Vuol dire che alle volte il caso aspetta proprio te e non per caso, ma per destino appare come caso.
Cogli il positivo che il caso per destino ti offre.
Alessandro Baricco
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Non esiste il caso ne’ la coincidenza, noi camminiamo ogni giorno verso luoghi e persone che ci aspettavano da sempre.
Giuditta Dembech
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Non saprei da dove cominciare per dirti quanto mi fai tramare, so solo che se trovassi davanti un gruppo di bellissime ragazze, e te nel mezzo, io ti prenderei la mano, e sceglierei te, tra centinaia di stelle, io, sceglierei te, tra migliaia di occhi bellissimi, io cercherei i tuoi, e su tutti i cuori che battono per me, io sceglierei sempre e comunque te, anche se hai mille difetti, anche se hai pensieri differenti dai miei, tu mi prendi l’anima, e camminerei al tuo fianco con il sorriso, anche se per altri non sei perfetta, per me sarai sempre in vetta, e non avrò paura di portati per mano nel mio mondo, sempre e comunque, ti mostrerei al pianeta intero, ne sarei fiero, tra milioni di possibilità, io sceglierò sempre te.
(Ejay Ivan Lac)
«Dammi oggi la mia indifferenza quotidiana…».
Márai Sándor * L’ ULTIMO DONO.
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Una lettera di mio fratello minore Gábor da Budapest. Sua moglie Tuci, insegnante di pianoforte, era stata allieva di Bartók, – è morta «inaspettatamente». Per i sopravvissuti, nei «casi di morte inaspettata» vi è sempre qualcosa di simile a un insulto. Lanciano un grido, fuori di sé, come se chiedessero quale indiscrezione sia mai questa!
Márai Sándor * L’ ULTIMO DONO.
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Mentre spengo la lampada: Babits. «Non è il cantore a generare il canto è il canto a generare il suo cantore». E proprio vero. Ricordo i momenti in cui quel che avevo da dire si metteva a sprizzare scintille.
Poi tutto cambiò da un giorno all’altro, il modo di vita, il ritmo di vita; la quotidianità e il lavoro procedevano contemporaneamente…
Nulla di ciò esiste più.
Márai Sándor * L’ ULTIMO DONO.
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L’ipotesi avanzata dagli studiosi di Shakespeare, secondo cui in segreto il poeta sarebbe stato un papista, non trova nessuna conferma all’interno dell’opera. Nel teatro di Shakespeare l’inferno esiste, ma si trova qui sulla terra. E non vi è traccia di escatologia. Secondo il poeta, l’inferno non si trova nelle viscere della terra ma in superficie, dentro casa, sul lavoro, nella società, nell’uomo. L’umanità non è una genia infernale, come si suol dire, bensì la creatrice dell’inferno. «Non posso dirlo a nessuno indi lo dico a ciascuno»…
Se non esiste nessuno a cui poter dire una certa cosa, è meglio non dirla affatto. Su «quella certa cosa» conviene tacere: su «quella certa cosa», ovvero su noi stessi.
Márai Sándor * L’ ULTIMO DONO.
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Non sono sano, sono molto stanco, può darsi che un verme mi stia rosicchiando dall’interno, o che la batteria cominci a esaurirsi.
Comunque mi attengo ancora alla breve passeggiata mattutina e a quella serale di tre quarti d’ora, il che mi aiuta a superare, alla meno peggio, un giorno dopo l’altro. La vicinanza della morte rafforza la coscienza più di quanto non la indebolisca.
Márai Sándor * L’ ULTIMO DONO.
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«Morte, accoglimi come tuo figlio». (Kosztolányi). Forse è meglio in quest’altro modo: «Morte, ti accolgo come mio padre».
Márai Sándor * L’ ULTIMO DONO.
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La nascita non è un’esperienza, giacché è accidentale, – si verifica e basta, senza alcuna intenzione. La morte è un’esperienza, perché si verifica anche andando contro le nostre intenzioni.
Márai Sándor * L’ ULTIMO DONO.
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«Ho compreso di non averti mai amato, la sola che io abbia amato è la mia passione»
Márai Sándor * L’ ULTIMO DONO.
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Hanno trapiantato il cuore di una scimmia in un neonato malato di cuore.
Per ora il bimbo è vivo. Darwin credeva che l’uomo discendesse dalla scimmia. Adesso l’esperimento si capovolge, l’uomo può trasformarsi in una scimmia.
Indirà Gandhi, primo ministro dell’India, è stata colpita a morte da due sue guardie del corpo. L’India è un Paese devoto. Le vacche sono sacre, è lecito sparare soltanto al primo ministro.
Non sono sano, qualche morbo mi corrode dall’interno: forse un cancro, come nel caso di mio padre, o forse è semplicemente la vecchiaia che succhia gli umori vitali… Il trapasso ha inizio nel momento in cui morire non ci sembra più un fatto impossibile. Per ottantaquattro anni, fino a oggi, non l’ho mai considerato possibile; e avevo ragione.
Márai Sándor * L’ ULTIMO DONO.
Un riflesso che si ripete: al risveglio, ancora un po’ insonnolito, allungo la mano – come ho sempre fatto per sessantadue anni e otto mesi – per stringere la sua. Quando non trovo nulla da stringere, l’orrore: dov’è? In soggiorno? Nella stanza da bagno? E’ caduta per terra?… A quel punto mi rendo conto che «non c’è», perché è morta. Questo è il momento del risveglio. Quel che segue, sempre più intimamente, è il disgusto. Il disgusto, perché lei non c’è. Perché è morta. Perché tutto ciò che preti, medici, persone di ogni sorta hanno blaterato nel corso dei tempi a proposito della morte sono semplici menzogne. Il fatto stesso della morte è disgustoso.
Márai Sándor * L’ ULTIMO DONO.
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Di continuo la sua voce, quando – dopo aver taciuto per diversi giorni – parlò e disse: «Ma quanto ci metto a morire…». In seguito non parlò più.
Márai Sándor * L’ ULTIMO DONO.
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Non scrivo, non leggo, ma a volte sogno che sto scrivendo qualcosa. In sogno le righe scorrono come quelle di un testo proiettato sullo schermo. E le righe hanno un senso, la scelta delle parole è corretta, la composizione è piena di vita. Non sono «io» a scrivere tutto ciò, è qualcosa che accade dentro di me. La via di ritorno dalla vita alla morte è oscura, brancolo dal nulla verso il nulla e lungo il percorso, ogni tanto, una parola, un concetto risplendono come lucciole nella buia foresta.
Márai Sándor * L’ ULTIMO DONO.
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Di mattina, telefonata dall’Europa. E’ morto mio fratello minore Géza.
Nel periodo immediatamente precedente e successivo alla morte di Lola, negli ultimi quattordici mesi, la vita per me si è svuotata: se n’è andata Lola, poco prima mia sorella Kató e mio fratello Gábor, adesso Géza. Di tutta la famiglia sono rimasto io – la retroguardia: tra i miei parenti stretti non è più vivo nessuno. Li seguo – loro che «non sono andati via, sono soltanto andati avanti» – in fila indiana. Tutto ciò è sopraggiunto come un’epidemia. Infatti lo è, il tempo è un’epidemia…
Márai Sándor * L’ ULTIMO DONO.
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Quel rigo di Shakespeare. «Perché quali sogni verranno mai nella morte…». I sogni spaventosi esistono già nella vita. Ogni tanto ho paura di addormentarmi
Márai Sándor * L’ ULTIMO DONO.
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La vecchiaia. Occorre decidere cosa debba farsene l’uomo vecchio della solitudine. Cos’è più giusto: essere soli restandosene da soli oppure essere soli in compagnia? Io vivo ormai da più di un anno in una solitudine che coincide con lo starmene da solo. Non è facile, non è neanche «vita», tuttavia è più tollerabile della solitudine vissuta in compagnia
Márai Sándor * L’ ULTIMO DONO.
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Erano in molti a volergli bene: in occasione della messa funebre più di cento persone hanno sottoscritto l’albo dedicato al suo ricordo.
Per quanto mi riguarda, è come se mi avessero colpito con un pugno nello stomaco: un insulto. Le fiabe che si narrano sulla morte – tutte menzogne. La realtà è un insulto, negarlo è un inganno. Detesto i preti, le fiabe narrate dalle religioni. Andarmene in pace, senza inganni e autoinganni penosi. Ormai non ho più nessuno. Quest’uomo era l’ultima «persona» per me. Non voglio più scrivere. E neanche vivere, ma soltanto andarmene in pace. Sarebbe un grande dono non svegliarmi più.
Attimi in cui è come se una bestia impazzita ululasse nel buio. L’attimo in cui alla fine di una lunga vita si capisce che il destino non è semplicemente crudele, ma anche disonesto.
Márai Sándor * L’ ULTIMO DONO.
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Un attore, all’età di ottantuno anni, è morto al mattino, nel sonno. Per la prima volta da parecchio tempo sono sinceramente invidioso.
Márai Sándor * L’ ULTIMO DONO.
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Vivo completamente solo, dunque non mi annoio. «Paura della morte». Temo che la morte sia noiosa.
Márai Sándor * L’ ULTIMO DONO.
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toccarla con mano. L’odore di morte si sprigiona ormai anche dai capi di abbigliamento. Scrivere il Roger. Come un debito d’onore da saldare. L’insieme, nonostante tutti gli orrori e le mostruosità, è stato comunque meraviglioso. Ma ormai mi vergogno di scrivere.
Márai Sándor * L’ ULTIMO DONO.
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