Io che fui tuo figlio,
nei tuoi profondi ed oscuri abissi concepito,
dai tuoi eterni flussi e riflussi nato.
Culla primordiale di vita tu fosti
moto perpetuo del mondo,
sua linfa, suo sangue.
Per madre ebbi l’infinito turchino del cielo
che con te ancora si sposa, in rinnovato amore,
là dove lo sguardo si perde e si confonde
in sognante incanto.
Di fronte a te, o padre, ora mi ergo,
dopo anni d’assenza
e in rispettoso silenzio contemplo
la tua maestosa ed eterna bellezza,
che ancora una volta mi ricorda
quanto vana sia la mia fugace
ed incerta esistenza.
vivere
Parlami.
Parlami di te.
Dimmi ciò che vuoi ma parlami di te.
Non pensare al tempo che scorre inesorabile.
Parlami. E’ bello ascoltarti.
Vivo. Con la tua voce vivo.
E’ il soffio della vita che mi spinge oltre.
E’ la carezza che mi dona pace.
E’ la sicurezza del domani incerto.
E’ la speranza che non morirà.
Parlami. Parlami.
Se mi ami… parlami.
Non ricordo con sicurezza quando ci baciammo la prima volta. Nella mia fantasia era già successo infinite volte. Forse quella sera sotto il portone di casa mia, dopo la cena con le ostriche e il vino bianco. Sì, forse quella sera in cui, per la prima volta, mi chiedesti di salire.
Mi ricordo con esattezza, però, quando ho sentito, per la prima volta, che non avrei mai più amato nessuno dopo di te.
Pioveva. Come stasera. Un sabato qualunque nella capitale. Un sabato pomeriggio di shopping in uno dei tanti affollati centri commerciali, in compagnia di una coppia di amici, quelli che ci avevano fatto incontrare. Poi la corsa nel parcheggio sotto la pioggia, senza ombrelli.
Seduti sul sedile posteriore dell’auto, in coda per uscire dal parcheggio, ridevamo come ragazzini e non riuscivo a smettere di guardare i tuoi bellissimi occhi neri. Allungai una mano per spostarti dalla fronte un ricciolo bagnato, con un gesto che si trasformò in una lieve, impercettibile carezza, un gesto con cui mi consegnai completamente nelle tue mani.
E mi ricordo con esattezza la prima volta che le tue mani mi sfiorarono con delicatezza, infilandosi sotto la mia maglietta.
Non ricordo, invece, cosa c’eravamo andati a fare a Napoli quella domenica, forse a prendere le sfogliatelle calde da Scaturchio. Ricordo, però, il viaggio di ritorno in autostrada e il momento in cui scelsi quel luogo così poco romantico per dirti: “Ti amo.”
La felicità mista a terrore che lessi nei tuoi occhi l’avrei rivista ancora molte volte durante la nostra storia. E adesso che ci penso, l’ho rivista anche l’altra sera, l’ultima sera.
Quella notte mi sdraiai su di te, nel mio letto e dissi: “Guarda, sono proprio della tua misura.” Mi volevi ma avevi paura. Lo sentivo che avevi paura. Ti controllavi, non volevi lasciarti andare. Chi ti aveva fatto così male da farti tenere così lontano dall’amore?
La tua dolcissima
Vivere significa buttarvi con coraggio.
Vivere significa cadere e sbattere il muso.
Vivere significa andare al di là di voi stessi…
tra le stelle!
Leo Buscaglia, da “Vivere, Amare, Capirsi”
*
Ogni voce ha la sua “impronta”, il suo unico suono identificativo. Come la colonna sonora che accompagna l’azione nel corso di un film, la voce prepara la scena alla vostra conunicazione. Una voce dinamica e’, senza dubbio, un asso nella manica della vita privata; l’asso nella manica di quella lavorativa. RIcordatevi: non e’ sempre quello che dite, che conta; bensi come lo dite! Molte persone che valgono vengono spesso ignorate perche’ la loro voce non le rappresenta in maniera adeguata.
Forse accanto al detto: “hai l’eta’ che ti senti adosso” bisognerebbe aggiungere un altro: “sei giovane quanto la tua voce”! Solitamente non e’ la voce a consumarsi, ma e’ il suo potere a diminuire. La voce e’ uno strumento vivente che non ha parti sostituibili. Risponde a tutto quello che fate con il resto del corpo. Quindi come facciamo ad assicurarci che la nostra voce rimanda sana e resti nostra amica? Dobbiamo vivere seguendo delle regole di base dette dal buon senso.
Renée Grant Williams, Come usare la voce per convincere, affascinare e comandare l’attenzione.