Mi saluta ogni volta con quel suo sorriso sincero e gentile che, come gradito contagio, passa di bocca in bocca mettendo buon umore. La conosco ormai da qualche anno. È poco più che ventenne, ma ha modi educati e atteggiamenti discreti che si direbbero di altri tempi.
Sogna una bella famiglia e desidera una casa tutta sua. Vive con entusiasmo il presente immaginando il futuro. È innamorata e ricambiata.
Con la sua naturale attenzione di sempre, mi chiede come stanno i bambini. Rispondo volentieri e poi domando di lei.
I suoi occhi però si abbassano e si fanno lucidi, la voce inciampa nella gola:
«Non ci vado più da quel medico. Mi ha detto cose troppo brutte. Mi ha parlato di una possibile malattia degenerativa senza nemmeno una diagnosi certa; di sintomi invalidanti senza il conforto di una cura definitiva.»
Anche i miei occhi si abbassano abbattuti da quelle poche parole. Fissano a terra il suo futuro e i suoi progetti che sembrano contrarsi, schiacciati da un’opprimente e buia angoscia, fino ad implodere in un miope presente a cui è stata tolta la possibilità di guardare lontano.
È questa la nostra unica vita, non ci è concesso il bis. Ce la giochiamo tutta qui, sperando in un po’ di fortuna. E, invece, una salute definitivamente compromessa può far crollare ogni nostra precaria speranza, ogni lusinga di realizzante felicità.
Così, si guardano gli altri andare avanti nel cammino ordinario della loro vita, mentre si è avvolti da quel disperato dramma che ferma il tempo e falcia i sogni.
È possibile sorridere ancora pensando al futuro? È possibile trovare serenità in certe difficili condizioni di vita?
Non lo so. Non certo subito e come si aveva finora immaginato. Niente sarà come prima.
Forse, però, si potranno lentamente costruire nuovi equilibri di serenità, trovando risorse impensabili, gustando cose nascoste ai più, scoprendo bellezze e piaceri che prima non si sarebbero saputi scorgere.
Mi ricordo le lunghe ore e i giorni passati in ospedale per assistenza o malattia. In quei momenti ero ansioso di uscire da quella stanza per tornare alla vita di prima. Non tanto per intraprendere i bei viaggi già programmati, salire le vette tanto sognate o lanciarmi in volo libero col parapendio. Mi mancavano piuttosto i momenti quotidiani vissuti assieme ai miei cari: come l’arrivo dei bambini da scuola, il momento di preghiera insieme alla sera, le buffe paroline del più piccolo, l’abbraccio di mia moglie guardando la TV, la pizza assieme agli amici, il ritrovo alla messa domenicale, il calore e i colori della tavola preparata e i profumi della mia cucina. Avevo nostalgia persino del chiasso e delle urla dei miei figli e del monotono e assonnato viaggio in auto al mattino verso il lavoro.
In quegli istanti mi sono persuaso che la felicità potesse essere racchiusa in cose molto semplici se non banali, facilmente accessibili e tuttavia difficilissime da scorgere. Come una chiave di un prezioso forziere cercata in capo al mondo ma nascosta nel portapenne della propria scrivania.
Non è per niente facile fermarsi e guardare la vita con occhi attenti e meravigliati, soprattutto nei momenti di grave sconforto.
Qualche volta mi aiuto facendo una lista su carta di ogni momento vissuto in modo così intensamente semplice e pur speciale. Poi la rileggo e mi stupisco. Perché è per ognuna di quelle cose che è valso la pena vivere quel giorno.
Ogni persona, e così pure il suo futuro, ha significato per i sentimenti e gli affetti che suscita, vive e inconsapevolmente dona e, soprattutto, per ogni relazione, sebbene imperfetta, capace di coinvolgere e segnare chi incontra, a prescindere dalla condizione fisica in atto.
Non so se avrò mai il coraggio di parlare a quella ragazza della felicità e delle mie convinzioni, ma so che stasera assieme ai miei familiari pregherò per lei: ne sento davvero il desiderio e quasi il bisogno. Chiedere il sostegno di Dio, la sua presenza nel mio futuro e, perché no, la possibile guarigione, è sempre la prima cosa che faccio per avere aiuto e speranza di serenità. Ringraziare Dio, poi, per i preziosi momenti vissuti e goduti mi sorprende e mi insegna a dare un preciso nome al segreto della mia felicità.
Daniele Carraro