Chi biasima la pittura, biasima la natura, perché le opere del pittore rappresentano le opere di essa natura, e per questo il detto biasimatore ha carestia di sentimento.
Leonardo da Vinci, Trattato della pittura
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Dipingere non è un’operazione estetica: è una forma di magia intesa a compiere un’opera di mediazione fra questo mondo estraneo ed ostile e noi.
Pablo Picasso, in Françoise Gilot e Carlton Lake, Vita con Picasso
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Dipingere è azione di autoscoperta. Ogni buon artista dipinge ciò che è.
Jackson Pollock
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Dire al pittore che la natura va presa com’è è come dire al pianista che può sedersi sul pianoforte.
James Abbott McNeill Whistler, La lettura delle dieci
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Continuerò a dipingere il secondo quadro, ma so che non lo finirò mai. Il tentativo è fallito e non c’è miglior prova di questa sconfitta, o fallimento, o impossibilità, del foglio di carta su cui mi accingo a scrivere: un giorno, prima o poi, mi volgerò dal primo quadro al secondo e infine a questo testo, o salterò la tappa intermedia, o troncherò la frase per correre a dare una pennellata sulla tela del ritratto che S. mi ha ordinato, o forse su quell’altro, parallelo, che S. non vedrà. Quel giorno non saprò niente di piú di quanto non sappia oggi (che i ritratti sono entrambi inutili), ma potrò decidere se sia valsa la pena di farmi tentare da una forma di espressione che non mi appartiene, anche se proprio questa tentazione significa, in fin dei conti, che non era mia, in fondo, neppure la forma di espressione che ho finito per usare, per impiegare cosí meticolosamente, quasi obbedissi alle regole di un manuale. Non voglio pensare, adesso, a che cosa farò se pure questa mia scrittura sarà un fallimento, se, da allora in poi, le tele bianche e le pagine bianche saranno per me un mondo in orbita a milioni di anni-luce dove io non potrò vergare neppure il minimo segno. Se, dunque, sarà un atto di disonestà il semplice gesto di prendere un pennello o una matita, se una volta ancora, insomma (la prima non c’è mai stata veramente), sarò costretto a ricusarmi il diritto di comunicare o di comunicarmi, perché avrò tentato e fallito, e altre opportunità non ce ne saranno.
Mi apprezzano come pittore i miei clienti. Nessun altro. Dicevano i critici (quando parlavano di me, per poco e tanti anni fa) che sono in ritardo di mezzo secolo almeno, il che, a rigore, significa che mi ritrovo in quello stato larvale che va dal concepimento alla nascita: una fragile, precaria ipotesi umana, un acido, ironico interrogativo su cosa farò nella vita. «Che deve ancora nascere». Piú volte mi sono soffermato a riflettere su questa condizione che, generalmente transitoria per gli altri, in me si è fatta definitiva e vi noto, contrariamente a quanto ci si potrebbe attendere, un che di stimolante, sia pure doloroso ma piacevole, come la lama di un coltello che si sfiora prudentemente, mentre la vertigine di una sfida ci fa premere la polpa viva delle dita sulla certezza del taglio. È quel che sento (o in maniera confusa, senza lame né polpe vive) quando comincio un nuovo quadro: la tela bianca, levigata, senza alcuna base, è il certificato di nascita da compilare su cui io (amanuense di un’anagrafe senza archivi) credo di poter scrivere dati nuovi e generalità diverse che mi sottraggano, definitivamente, o almeno per un’ora, a questa incongruenza di non nascere. Intingo il pennello e lo avvicino alla tela, diviso fra la certezza delle regole apprese nel manuale e l’esitazione di cosa sceglierò per esistere. Poi, decisamente confuso, saldamente legato alla condizione di essere quello che sono (non essendolo) da tanti anni, lascio andare la prima pennellata e proprio in quell’istante mi ritrovo lí, dichiarato davanti ai miei occhi. Come nel celebre disegno di Bruegel (Pieter), compare alle mie spalle un profilo tagliato con l’accetta e sento la voce dirmi, una volta di piú, che io non sono ancora nato. A ben pensare, sono cosí onesto da non aver bisogno delle voci di critici, esperti e conoscitori. Mentre trasferisco meticolosamente le proporzioni del modello sulla tela, sento dentro di me un mormorio insistente a ricordarmi che la pittura non è affatto quella che faccio io. Mentre cambio il pennello e indietreggio di quei due passi che mi permettono di inquadrare meglio e di chiarire quell’intrico che sempre rappresenta un viso «da ritrarre», rispondo silenziosamente: «Lo so», e continuo a ricreare un azzurro che ci vuole, una terra, un bianco che farà le veci della luce che non potrò mai captare. Lo faccio senza alcun diletto, perché rientra nelle regole, protetto dall’indifferenza che la critica ha finito per creare intorno a me come un cordone sanitario e, insieme, protetto dall’oblio in cui a poco a poco sono scivolato, ma anche perché so bene che il quadro non finirà mai in nessuna mostra né galleria. Passerà direttamente dal cavalletto alle mani dell’acquirente, perché il mio sistema è questo, giocare sul sicuro, in moneta contante. Di lavoro, ne ho d’avanzo. Faccio ritratti per tutti quelli che si stimano abbastanza da ordinarli e appenderli nei vari ingressi, studi, soggiorni e sale di consiglio. Ne garantisco la durata, non garantisco invece l’arte, e del resto loro non me la chiedono, anche se io potessi darla. Una somiglianza appena migliorata è il massimo cui arrivano. E visto che su questo punto possiamo anche concordare, nessuna delusione per nessuno. Ma quella che faccio io non è pittura.
José Saramago , Manuale di Pittura e Calligrafia
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Non dipingo un ritratto che assomiglia al modello, piuttosto è il modello che dovrebbe assomigliare al ritratto.
Salvador Dalì
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Se dipingete, chiudete gli occhi e cantate.
Pablo Picasso
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Non c’è miglior pittore di quello che intinge il pennello nel color d’oro.
Proverbio italiano
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Ogni pittor dipinge sé stesso.
Proverbio italiano
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Noi siamo perversi o illusi incantati o deserti. Sono solo, dipingere è un togliersi di mezzo.
Sebastiano Carta