Mai per quanto viaggi, per quanto conosca
l’uscire da un luogo, il giungere a un luogo, conosciuto o sconosciuto,
perdo, partendo, giungendo, e nella linea mobile che li unisce,
la sensazione di brivido, l’ansia del nuovo, la nausea
-quella nausea che è il sentimento che sa che il corpo possiede l’anima.
Trenta giorni di viaggio, tre giorni di viaggio, tre ore di viaggio-
Sempre una certa afflizione s’insinua infondo al mio cuore.
30.MAI, FERNANDO PESSOA, Un’affollata solitudine.
***
Nella casa di fronte a me e ai miei sogni
che felicità c’è sempre!
Vi abitano persone sconosciute che ho già visto senza vedere.
Sono felici, perché esse non sono io.
I bambini, che giocano sugli alti terrazzi,
vivono tra vasi di fiori,
eternamente, senza dubbio.
Le voci che salgono dall’intimità domestica
cantano sempre, senza dubbio.
Sì, devono cantare.
Quando è festa qua fuori, è festa là dentro.
E così deve essere laddove tutto si adatta:
l’uomo alla Natura, perché la città è Natura.
Che grande felicità non essere io!
Ma anche gli altri non penseranno così?
Quali altri? Non ci sono altri.
Quanto pensano gli altri è una casa con la finestra chiusa,
o se si apre,
è perché i bambini possano giocare sulla veranda inferriata,
tra i vasi di fiori che non ho mai visto quali fossero.
Gli altri non sentono mai.
Chi sente siamo noi,
sì, tutti noi,
perfino io, che ora non sento più nulla.
Nulla ? Non so…
Un nulla che fa male …
56. NELLA CASA DI FRONTE, FERNANDO PESSOA, Un’affollata solitudine.
***
Vorrei avere il tempo e la quiete sufficienti
per non pensare a cosa alcuna,
nè per sentirmi vivere,
per sola saper di me negli occhi degli altri, riflesso.
19. VORREI, FERNANDO PESSOA, Un’affollata solitudine.