E’ il “Giorno del ricordo”. Un ricordo particolare. Il 10 febbraio è la giornata in cui si ricordano i martiri delle foibe e l’esodo dei profughi giuliani, istriani e dalmati dalle terre della ex jugoslavia. Tra le cause da una parte la convinzione, diffusa fra i partigiani jugoslavi, che la guerra di liberazione jugoslava non avesse solo un carattere “nazionale”, ma anche “sociale”, con la popolazione italiana percepita anche come “classe dominante” contro cui lottare, dall’altra l’occupazione militare italiana, durante la seconda guerra mondiale, di diverse zone della Jugoslavia, fu teatro anche crimini di guerra contro la popolazione civile. Una ricorrenza civile voluta per non dimenticare quella pagina buia della nostra storia, per troppo tempo quasi del tutto ignorata.
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La foiba faceva sempre pensare al sangue, all’ossario, alla macelleria al lancio dei vivi e dei morti nell’abisso.
Negli inghiottitoi si buttava la roba che si voleva eliminare, togliere per sempre dalla vista, e magari anche dalla memoria.
Carlo Sgorlon, La foiba grande
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“Questa è l’occasione per ricordare le vittime italiane della folle vendetta delle autorità postbelliche dell’ex Jugoslavia.
Gli atroci crimini commessi non hanno giustificazione alcuna.”
Dichiarazione congiunta del Presidente della Repubblica Italiana e dal Presidente della Repubblica di Croazia pronunciata il 3 settembre 2011.
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“Già nello scatenarsi della prima ondata di cieca violenza in quelle terre, nell’autunno del 1943, si intrecciarono “giustizialismo sommario e tumultuoso, parossismo nazionalista, rivalse sociali e un disegno di sradicamento” della presenza italiana da quella che era, e cessò di essere, la Venezia Giulia. Vi fu dunque un moto di odio e di furia sanguinaria, e un disegno annessionistico slavo, che prevalse innanzitutto nel Trattato di pace del 1947, e che assunse i sinistri contorni di una “pulizia etnica”.”
Discorso del Presidente della repubblica Giorgio Napolitano in occasione della celebrazione del “Giorno del ricordo”. Roma, 10 febbraio 2007.
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Fummo condotti in sei, legati insieme con un unico filo di ferro, oltre a quello che ci teneva avvinte le mani dietro la schiena, in direzione di Arsia. Indossavamo i soli pantaloni e ai piedi avevamo solo le calze. Un chilometro di cammino e ci fermammo ai piedi di una collinetta dove, mediante un filo di ferro, ci fu appeso alle mani legate un masso di almeno 20 k. Fummo sospinti verso l’orlo di una foiba, la cui gola si apriva paurosamente nera. Uno di noi, mezzo istupidito per le sevizie subite, si gettò urlando nel vuoto, di propria iniziativa. Un partigiano allora, in piedi col mitra puntato su di una roccia laterale, c’impose di seguirne l’esempio. Poiché non mi muovevo, mi sparò contro. Ma a questo punto accadde il prodigio: il proiettile anziché ferirmi spezzò il filo di ferro che teneva legata la pietra, cosicché, quando mi gettai nella foiba, il masso era rotolato lontano da me. La cavità aveva una larghezza di circa 10 m. e una profondità di 15 sino la superficie dell’acqua che stagnava sul fondo. Cadendo non toccai fondo e tornato a galla potei nascondermi sotto una roccia. Subito dopo vidi precipitare altri quattro compagni colpiti da raffiche di mitra e percepii le parole “un’altra volta li butteremo di qua, è più comodo”, pronunciate da uno degli assassini. Poco dopo fu gettata nella cavità una bomba che scoppiò sott’acqua schiacciandomi con la pressione dell’aria contro la roccia. Verso sera riuscii ad arrampicarmi per la parete scoscesa e guadagnare la campagna, dove rimasi per quattro giorni e quattro notti consecutive, celato in una buca. Tornato nascostamente al mio paese, per tema di ricadere nelle grinfie dei miei persecutori, fuggii a Pola. E solo allora potei dire di essere veramente salvo.
Roberto Spazzali e Raoul Pupo, Foibe
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La Repubblica Italiana riconosce il 10 febbraio quale «Giorno del ricordo» al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale.
Articolo 1 della Legge 92/2004
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“Non possiamo dimenticare e cancellare nulla; non le sofferenze inflitte alle minoranze negli anni del fascismo e della guerra, né quelle inflitte a migliaia e migliaia di italiani. Questa Cerimonia si pone in assoluta continuità con le precedenti, celebrate al Quirinale dal Presidente Napolitano, che ha fatto di questo giorno non una commemorazione rituale ma un momento fondamentale di espressione dell’identità e dell’unità nazionale”.
Pietro Grasso, residente del Senato 2010 durante la commemorazione a Palazzo Madama