L’invidia è la religione dei mediocri. Li consola, risponde alle inquietudini che li divorano e, in ultima istanza, imputridisce le loro anime e consente di giustificare la loro grettezza e la loro avidità fino a credere che siano virtù e che le porte del cielo si spalancheranno solo per gli infelici come loro, che attraversano la vita senza lasciare altra traccia se non i loro sleali tentativi di sminuire gli altri e di escludere, e se possibile distruggere, chi, per il semplice fatto di esistere e di essere ciò che è, mette in risalto la loro povertà di spirito, di mente e di fegato.
Carlos Ruiz Zafón, Il gioco dell’angelo
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Entrai nella libreria e aspirai quel profumo di carta e magia che inspiegabilmente a nessuno era ancora venuto in mente di imbottigliare.
Carlos Ruiz Zafón, Il gioco dell’angelo
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“Sai qual è il bello dei cuori infranti?” Domandò la bibliotecaria.
Scossi la testa.
“Che possono rompersi davvero soltanto una volta. Il resto sono graffi.”
Carlos Ruiz Zafón, Il gioco dell’angelo
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Dimmi di cosa ti vanti e ti dirò di cosa sei privo.
Carlos Ruiz Zafón, Il gioco dell’angelo
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Uno scrittore non dimentica mai la prima volta che accetta qualche moneta o un elogio in cambio di una storia. Non dimentica mai la prima volta che avverte nel sangue il dolce veleno della vanità e crede che, se riuscità a nascondere a tutti la sua mancanza di talento, il sogno della letteratura potrà dargli un tetto sulla testa, un piatto caldo alla fine della giornata e sopratuttto quanto più desiderea: il suo nome stampato su un miserabile pezzo di carta che vivrà sicuramente più a lungo di lui. Uno scrittore è condannato a ricordare quell’istante, perché a quel punto è già perduto e la sua anima ha ormai un prezzo.
Carlos Ruiz Zafón, Il gioco dell’angelo
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