“Ti piacerebbe imparare la chitarra? A leggere la musica?”
Oggi salgo sulla nobile pedana di legno di un teatro, di una piazza, a raccontare storie e anche a cantarle pizzicando con le dita le sei corde.
Metà secolo fa la chitarra entrò nella mia vita dalla finestra aperta e dalla voce di mamma.
In quel momento si decise il rapporto tra la musica e me.
Dissi: “No” e non sono stato più perdonato. Non vado oltre la strimpellatura e pure se invento una musica, non la so scrivere né leggere. O la fisso a mente oppure, e va bene così, la perdo. Le dita vanno sulle corde con polpastrelli avviati a usi più grezzi.
Sulla chitarra appoggio più la voce che le mani. Dissi no alla sua proposta per non aggiungere altro studio e togliere il tempo di leggere e stare con le storie. Lei non si scoraggiò, tornando altre volte sul vantaggio di tenersi compagnia con una chitarra.
All’età di tredici o quattordici mi mise sulle ginocchia i bei fianchi di legno dell’arnese.
Ce l’ho ancora, impiccato a un chiodo nella stanza. Lo stacco di lì in qualche sera di tempesta tra gli alberi e scrosci sul tetto. Oppongo al jazz di fuori un po’ di melodie napoletane.
Sono grato a lei che mi convinse a metterci le mani. Mi sono tenuto buona compagnia con le sue corde. Le canzoni imparate da mamma hanno forzato la mia voce chiusa.
Le porto in giro sopra un palco, la luce in faccia che ha l’effetto opposto, di starmene davanti a un buio, e a quel buio mi rivolgo, a un angolo dove ci sta lei che mi ha insegnato ogni sillaba e che mi ha chiesto fino agli ultimi giorni di cantarle qualcosa. In ogni stanza e sala, quando canto in napoletano, esiste lei che ascolta. Gli assenti hanno bisogno di una voce che li chiami fuori dall’assenza e li costringa a starci nuovamente, per la durata di una canzone almeno.
Mamma di cenere ammucchiata sul campo, le nostre notti di marzo, la siringa pronta a estrarre la spina del dolore, la stanza di passaggio dove la vita stentava a finire e le dita non si volevano staccare.
Mamma che mi fa orfano da vecchio. Mi posavo la sua mano tiepida e sfinita sulla fronte e così tornavo a respirare calmo. Prima dell’alba aprivo la finestra per fare entrare l’aria nuda che non aveva visto luce e s’infilava svelta nei polmoni. Mamma, negli ultimi giorni avevi il profilo di un uccello in volo.
“Ti piacerebbe imparare la chitarra? A leggere la musica?”
“No”, il mio no imbecille.
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