Sì, ogni parola è un seme, e il cuore dell’uomo il luogo in cui si deve posare. E lì, dentro di noi, che deve mettere radici, spezzare il tegumento dell’indifferenza, crescere, innalzarsi verso il cielo, trasformandoci da pongidi in creature colme di sapienza.
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Ruben, il protagonista del mio primo libro, La testa tra le nuvole – un romanzo onirico, fantastico – a un certo punto viene colto da una implacabile ossessione e, per soddisfarla, va incontro a tragiche disavventure.
La sua ossessione era naturalmente la mia. Da quando ho memoria di me stessa, ricordo di essermi interrogata sulle parole. Stavo seduta sul pavimento e toccavo le gambe del tavolo. Questa cosa scura con quattro gambe e un tetto si chiama tavolo, mi dicevo, perché tutti lo chiamano così, ma se io lo chiamo votalo è sempre un tavolo? Perché nell’altra lingua che parla la nonna si chiama Tisch ed è sempre un tavolo? Cosa c’entra il nome con l’essenza della cosa? Quanto ha a che fare il nome con la verità?
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Con l’ingresso nella scuola, ho lasciato le parole per occuparmi delle cose. Nessun amore per la poesia, nessun esercizio di bello scrivere, tutto quel lato dell’insegnamento
mi sembrava di una noia mortale. Mi interessava piuttosto sapere come aveva fatto Dio a creare il mondo in sette giorni: i fiori e le erbacce, le formiche, le farfalle, le coccinelle, insomma le forme di tutto, come aveva fatto ad immaginarle?
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Una notte, però, mi sono svegliata di soprassalto con una domanda. Cosa era successo alle scimmie?
Perché, a un tratto, avevano cominciato a lavarsi i denti, a vestirsi, a guidare le auto? Non solo perché, ma in che modo lo avevano fatto? Era successo loro come a
Pinocchio, che, dopo essere uscito dal ventre della balena con il padre, un giorno al risveglio si era visto non più di legno ma di carne.
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Ma perché mai abbiamo abbandonato gli alberi che ci davano riparo, frescura e nutrimento?
I pongidi pare siano scesi a terra per eccesso di peso […] Ma gli ominidi?
Se mettiamo una persona vicina ad un gorilla ti rendiamo subito conto del
la differenza. Per quanto possiamo essere obesi, non saremo mai così pesanti. […] In ogni caso, noi siamo scesi e abbiamo cominciato a camminare, anzi a correre, perché le radure all’epoca non erano affatto luoghi rassicuranti, esistevano già i grandi carnivori e avevano sempre una fame tremenda.
Pare che la selezione naturale abbia favorito la nascita di un piede adatto alla corsa e Inattitudine, tipica degli erbivori, a considerare la FUGA come unica via di salvezza.
Così, per parecchi milioni di anni, gli ominidi corrono.
Molti vengono divorati da tigri dai denti a sciabola e da altre belve dell’epoca. Soltanto qualche milione di anni fa, i sopravvissuti diventano “uomini”.
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La chimica e la fisica reggono l’universo e su questo, naturalmente, non si può che concordare. Ma la chimica e la fisica, ci viene detto, reggono anche la nostra vita individuale. Se ci innamoriamo di quel tal giovanotto, non è perché in lui, che so, riconosciamo delle qualità che ci turbano nel profondo o perché le sue parole ci emozionano.
No, ci innamoriamo unicamente perché, stando pericolosamente vicini, i nostri ormoni sessuali – i feromoni – si incontrano, provocando quello stato di trance biochimica che si chiama, appunto, innamoramento. È ancora la chimica poi, con i capricci stagionali dei nostri umori interni, che ci allontana per sempre da una persona e ce ne fa trovare un’altra. Cos’altro possiamo fare, se non ubbidire?
È la materia di cui siamo costituiti a determinare i nostri desideri, nient’altro. Immaginare un diverso orizzonte vorrebbe dire inseguire i mulini a vento, come don Quijote con il suo fido Sancho Panza.
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Così il darwinismo è diventato un grande schedario ordinato, ogni scheda al suo posto. Non c’è un cassetto vuoto né un foglietto che svolazza. Tutto è rigidamente nominato, catalogato, organizzato. Non ci sono domande che non hanno risposta perché non ci possono essere. Il sistema è perfetto. Quando la risposta non è immediata, la si allunga e la si allarga come la pasta della pizza fino a che riesce comunque a coprire il piatto.
Da dove nasceva la mia insofferenza nel fare i documentari? Dal fatto che tutto era già stabilito, come nello schedario. Non c’era spazio per la sorpresa, la meraviglia, il dubbio.
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Basta guardare uno qualsiasi dei documentari che vengono trasmessi in televisione per rendersi conto che questa visione è imperante. Personalmente li ritengo
diseducativi e perciò sconsiglio sempre di farli vedere in gran numero ai bambini.
Perché sono diseducativi? Perché insegnano il dogma del neodarwinismo. Il mondo è dei più forti. Il
destino degli altri – dei non adatti – è di soccombere. Ed è giusto che sia così, perché è “una legge di natura”. E la natura conosce la verità del mondo.
Ma siamo proprio sicuri che sia una verità di natura? O non è piuttosto un comodo cannocchiale che usiamo per vedere soltanto lo spicchio di realtà che ci fa comodo vedere?
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