Viviamo in un’apparente immobilità legata alla meccanica. Qualcuno si direbbe, ma lo hanno già detto altri, ha dato la spinta iniziale alle cose e poi è andato via. O sta a guardare da qualche parte, ben nascosto. Nel fluire e rifluire delle citazioni e delle confusioni che assillano il nostro quotidiano e che sostanzialmente sono il modo scientifico di fare scienza, qualcuno sta alla finestra ad osservare, divertendosi.
GIANFRANCO BREVETTO, MARTA
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Oggi sono fuggito. Meglio, ho simulato una fuga. Dopo questa prova generale, ora so che tutto è pronto.
Oggi, ancora una volta, mi è apparso chiaro che sono circondato da individui sazi e da cose di poco valore.
Infatti, senza alcun motivo ho iniziato a correre […] Fuggire è una cosa da vecchi, quando ci si sente braccati dal tempo, si ha il cuore in gola per gli impegni tracciati sugli innumerevoli foglietti di carta che ti riempiono le tasche.
GIANFRANCO BREVETTO, MARTA
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I bimbi sognano.
E lo farebbero sempre, se potessero. Forse diverrebbero degli adulti diversi. Se solo potessero farlo, Se non ci fossero le urla di chi li cerca e li sgrida ad interrompere la fine delle storie senza fine.
GIANFRANCO BREVETTO, MARTA
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un mattino, come il signore di Kafka, mi ero destato ed avevo scoperto di nonpiù scrivere. Non conoscevo più la scrittura e non sapevo più servirmene. Era stata per me una dannazione ma, anche e infine , una liberazione.
Non avrei più tracciato alcun segno del mio passaggio e delle mia memoria. Non avrei più partecipato alla lotteria degli scrittori e degli editori. Finalmente potevo dedicarmi alla letteratura.
GIANFRANCO BREVETTO, MARTA
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se nello scrivere vi è una tecnica, nel non scrivere vi è sicuramente l’arte.
GIANFRANCO BREVETTO, MARTA
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Amore è una parola solo pronunciata, la sua grafia, in realtà, è fatta di un breve sussurro e di sguardi.
GIANFRANCO BREVETTO, MARTA
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In strada apprezzò l’aria che le veniva sul viso ed iniziò a camminare, senza però sapere dove andare. Aveva sentito la morte arrivare, così prossima e imminente, sapeva ora cosa vuol dire sopravvivere.
GIANFRANCO BREVETTO, MARTA
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Marta appariva insofferente. Insofferente nei confronti di chi la giudicava, la consigliava, parlava in qualche modo di lei. Non che non accettasse consigli. Ciò che l’infastidiva, fino a innervosirla, era la pretesa di alcuni di sostituirsi a lei. Non accettava che nessuno dirigesse dall’esterno la sua vita. Nessun
uomo, nessuna amica, nessun parente avrebbero potuto fare ciò. Lei non lo avrebbe permesso.
GIANFRANCO BREVETTO, MARTA
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Amare gli uomini era stata una sfida.
Una continua rincorsa a possedere un nome, uno sguardo, una voce. Poi, iniziava il distacco. Amare, per Marta, era la sofferenza dell’allontanarsi.
Perché, l’amore in sé, è necessariamente rinchiuso in un solo unico momento, un respiro ed un gesto sospeso che non può riprodursi.
GIANFRANCO BREVETTO, MARTA
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Il racconto di sé
diventava la sua pelle, le parole, le sue labbra. Il ricordo, un amplesso. Una frase, un bacio.
GIANFRANCO BREVETTO, MARTA
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Noi due parlavamo usando l’imperfetto o il passato. Nulla si accenna del futuro, o a quello che avremmo fatto da lì a un’ora. E soprattutto il giorno
seguente. In verità, nemmeno io sapevo fin quando ci saremmo visti, se il nostro rapporto sarebbe finito dopo quel pomeriggio o sarebbe continuato.
GIANFRANCO BREVETTO, MARTA
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Marta conduceva la sua battaglia personale.
Lei voleva essere felice. Non riusciva, però, a capire perché gli altri non fossero dalla sua parte.
Questo la intristiva, la metteva di cattivo umore, la rendeva scontrosa. Odiava la tristezza che la circondava. A nessuno, però, lei avrebbe concesso
il diritto di toglierle il sorriso.
GIANFRANCO BREVETTO, MARTA
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Lei viveva del suo pensiero. Ne controllava facilmente i limiti, ma non aveva il coraggio di valicarli. Si sentiva protetta di fronte all’enormità, così le appariva, della realtà.
GIANFRANCO BREVETTO, MARTA
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Sempre. Marta non voleva ammetterlo ma aveva avuto una, ed una sola, grande amica e nemica: Marta.
GIANFRANCO BREVETTO, MARTA
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Amava invece dare di sé un’immagine decisa, a volte distaccata. Sentiva che ogni suo forse sarebbe stato interpretato come una debolezza. Ma questa immagine che lei amava aveva finito per assorbire gran parte delle sue forze. Pensava a se stessa come un’armatura vuota.
Braccata, inseguita, chiusa nel suo dolore.
Quel dolore che è un pensiero improvviso, un cuscino disfatto, una frase ripetuta all’infinito tra le labbra, l’amaro delle mani strette e pigiate sul ventre.
GIANFRANCO BREVETTO, MARTA
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Di chi eravamo? A chi appartenevano le nostre esistenze? La sua, la mia. Vivevamo quell’istante sospesi in una sincope. Eravamo, in quell’abbraccio, sprovvisti di un destino.
GIANFRANCO BREVETTO, MARTA
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Marta Gianfranco Brevetto Compralo |