il senso dell’udito […] a detta di Teofrasto, è esposto più di ogni altro alle passioni, dato che non c’è niente che si veda, si gusti o si tocchi, che produca sconvolgimenti, turbamenti o sbigottimenti paragonabili a quelli che afferrano l’anima quando l’udito è investito da certi frastuoni, strepiti o rimbombi.
Ma a ben guardare esso ha più legami con la ragione che con la passione, perché se è vero che molte sono le zone e le parti del corpo che offrono al vizio una via d’accesso per cui arriva ad attaccarsi all’anima, per la virtù l’unica presa è data invece dalle orecchie dei giovani, sempreché siano pure e tenute fin dall’inizio al riparo dai guasti dell’adulazione e dal contagio di discorsi cattivi.
Per questo Senocrate invitava ad applicare i paraorecchi ai ragazzi più che ai lottatori, perché a questi ultimi i colpi sfigurano le orecchie, mentre ai primi i discorsi distorcono il carattere. Egli non intendeva, comunque che dovessero porsi in una sorta di isolamento acustico o diventare sordi: consigliava solo di proteggerli dai discorsi cattivi prima che altri buoni, come guardie allevate dalla filosofia a protezione del carattere, non ne avessero saldamente occupato la postazione più precaria e maggiormente esposta alla voce della persuasione.
L’antico Biante, quando Amasi gli chiese di inviargli la porzione di vittima sacrificale che a suo giudizio fosse migliore e al tempo stesso peggiore, ne recise la lingua e gliela mandò, intendendo dire che nella parola sono insiti i danni e i vantaggi più grandi.
La maggior parte delle persone, quando bacia teneramente i propri piccoli, ne prende le orecchie tra le mani e li invita a fare altrettanto, con scherzosa allusione al fatto che essi devono amare soprattutto chi fa loro del bene attraverso le orecchie.
È evidente che un giovane che fosse tenuto lontano da qualunque occasione di ascolto e non assaporasse nessuna parola, non solo rimarrebbe completamente sterile e non potrebbe germogliare verso la virtù, ma rischierebbe anche di essere traviato verso il vizio, facendo proliferare molte piante selvatiche dalla sua anima, quasi fosse un terreno non smosso ed incolto. Le pulsioni verso il piacere e le diffidenze verso la fatica sono sorgenti per così dire native, e non esterne o fatte affluire in noi dalle parole, di infinite passioni e malattie, e se sono lasciate libere di riversarsi dove natura le guida e non si provvede a frenarle con buoni ragionamenti, bloccandone o deviandone il naturale fluire, non c’è belva che non possa apparire più mansueta di un uomo.
L’ARTE DI ASCOLTARE, PLUTARCO