Santo cielo, Milena, se Lei fosse qui, e tu, povero cervello, incapace di pensare! Per giunta sarebbe una menzogna se dicessi che sento la mancanza di Lei, è la magia più perfetta, più dolorosa, Lei è qui esattamente come me e più ancora; dove sono io è Lei, come me e più ancora. Non è uno scherzo, talvolta mi figuro che Lei, che pure è qui, senta qui la mancanza “di me” e si domandi: “Dove è mai?
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la giornata è molto breve, con Lei e soltanto con qualche altra inezia è bell’e passata e terminata. E’ molto se rimane un po’ di tempo per scrivere alla vera Milena perché quella ancor più vera era qui tutto il giorno nella camera, sul balcone, nelle nuvole.
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Che ne pensa? Potrei ricevere una lettera entro domenica? Certo sarebbe possibile. Ma è insensata, questa smania di lettere. Non basta una sola, non basta sapere una volta per tutte? Certo che basta, ma ciò nonostante reclino la testa è bevo le lettere e so soltanto che non vorrei smettere di bere. Me lo spieghi Lei, Milena, maestra!
non ho letto bene le Sue lettere, vi ho soltanto girato intorno come il moscerino intorno alla luce, e mi sono bruciato più volte la testolina, del resto sono, come ho già scoperto, due lettere del tutto diverse, l’una per essere bevuta, l’altra per provare terrore, ma quest’ultima penso che sia scritta dopo
Come faccio a esprimere la differenza? Uno giace nel sudiciume e nel puzzo del suo letto di morte ed ecco arrivare l’angelo della morte, il più beato di tutti gli angeli, e guardarlo. Può l’uomo trovare il coraggio di morire? Egli si gira, affonda più che mai nel suo letto, non gli è possibile morire.
nella Sua ultima lettera Lei era così forte che stetti a guardarLa come dalla mia sedia a sdraio starei a guardare gli alpinisti, se da qui li potessi distinguere lassù nell a neve.
Ho letto un’altra volta la lettera di domenica, è più terribile di quanto non pensassi dopo la prima lettura. Bisognerebbe, Milena, prendere il Suo viso fra le mani e guardarLe fermamente negli occhi, affinché negli occhi dell’altro Lei riconosca se stessa e da questo momento non sia più capace neanch e di pensare cose come quelle che ha scritte là.
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Quando finalmente si raddrizzerà un poco il mondo rovescio? Di giorno si va in giro con la testa bruciata – qui ci sono dappertutto bellissime rovine sui monti, e si pensa di dover diventare altrettanto belli – ma a letto invece del sonno vengono le migliori idee.
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Certo anche quella [lettera] di martedì ha la sua spina che si apre la via incidendo il corpo, ma tu la conduci e quale cosa – questa è beninteso soltanto la verità di un istante, di un momento tremante di dolore e di felicità -quale cosa, se viene da te, sarebbe difficile sopportare?
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Che bella cosa aver ricevuto la Sua lettera, doverLe rispondere col cervello insonne. Non so scrivere niente, mi aggiro soltanto fra le righe, alla luce dei Suoi occhi, al respiro delle Sue labbra come in una bella giornata felice che rimane bella e felice anche se la testa è malata e stanca
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ma è una preoccupazione come se avessi qui Lei sotto la mia sorveglianza, nutrissi anche Lei col latte che bevo, rinforzassi anche Lei con l’aria che respiro, che mi arriva dal giardino, no, sarebbe molto poco, rinforzassi Lei molto più di me.
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Continui a volermi bene!
F.
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Credo, Milena, che noi due abbiamo una particolarità in comune: siamo tanto timidi e ansiosi, quasi ogni lettera è diversa, quasi ciascuna si spaventa della precedente e,
più ancora, della risposta. Lei non lo è per natura, lo si vede facilmente, e io, forse, nemmeno io lo sono per natura, ma ciò è quasi diventato natura, e si dilegua soltanto
nella disperazione, tutt’al più nell’ira e, da non dimenticare, nell’angoscia.
Talora ho l’impressione che abbiamo una camera con due porte, l’una di fronte all’altra, e ognuno stringe la maniglia di una porta e basta un batter di ciglia dell’uno perché l’altro sia già dietro la sua porta e basta che il primo dica una sola parola e il secondo ha già certamente chiuso la porta dietro di sé e non si fa più vedere. Egli riaprirà,
sì, la porta, perché si tratta di una camera che forse non si può lasciare. Se non fosse esattamente come il secondo, il primo starebbe tranquillo, preferirebbe, in apparenza, non guardare neanche verso il secondo, metterebbe lentamente in ordine la camera, quasi fosse una camera come qualunque altra, ma invece fa esattamente la stessa cosa presso la sua porta, talvolta persino tutti e due sono di là dalle porte e la bella camera è vuota.
[…]
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Non pretenda da me che sia sincero, Milena. Nessuno lo può pretendere più di me stesso, eppure molte cose mi sfuggono, sì, forse tutto mi sfugge. Ma l’incoraggiamento in questa caccia non m’incoraggia, anzi, al contrario, non sono più in grado di fare un passo, a un tratto ogni cosa diventa menzogna e gli inseguiti strozzano il cacciatore. Sono
incamminato per una via molto pericolosa, Milena. Lei sta ritta accanto a un albero, giovane, bella, il lampo dei Suoi occhi abbatte il dolore del mondo. […] io striscio nell’ombra da un albero all’altro, mi sto spostando,
Lei mi manda una voce, m’indica i pericoli, vuole farmi coraggio, si spaventa al mio passo incerto, mi rammenta (a me!) la serietà del giuoco – io non posso, cado, so
no già a terra. Non posso udire le terribili voci dell’intimo e contemporaneamente Lei, ma posso ascoltarle e confidarlo a Lei, a Lei come a nessun altro al mondo.
Suo F.
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e non so come abbracciare la felicità con parole, occhi, mani e col povero cuore, la felicità che tu sei qui e mi appartieni. E dire che in fondo non amo te, ma piuttosto la mia esistenza donatami da te.
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E’ vero che per un racconto non c’è sorte più bella che scomparire, e proprio in questo modo. Anche il narratore, questo buffo psicologo, sarà pienamente d’accordo perché deve essere lui il vero povero suonatore che suona questo racconto nella maniera meno musicale possibile, esageratamente compensato dalle lagrime dei tuoi occhi.
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E non è gelosia, è soltanto un girare intorno a te,perché voglio afferrarti da tutti i lati, dunque anche dal lato della gelosia, ma è sciocco e non avverrà, sono soltanto i sogni malsani dell’esser solo
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Ma perché sono un uomo con tutti i tormenti di questo stato quanto mai oscuro e orrendamente pieno di responsabilità? Perché non sono, ad esempio, il
felice armadio nella tua camera che ti può guardare in faccia quando stai sulla sedia a sdraio o alla scrivania, o ti metti a letto o dormi
(sia benedetto il tuo sonno!).
Perché non lo sono? Perché mi schianterei dal dolore se ti avessi visto nella pena degli ultimi giorni o se addirittura – tu dovessi partire da Vienna.
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Oggi, si può dire, non ho fatto altro che star qui seduto, leggiucchiare qualcosa, soprattutto però non ho fatto niente, o sono stato ad ascoltare un dolore leggero leggero che mi rodeva le tempie.
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E ora, nonostante tutto, i “migliori saluti”; che importa se cadono a terra già al cancello del giardino, la Sua forza è forse tanto maggiore.