Un tempo probabilmente la musica veniva ascoltata per amore d’essa. Ascoltare musica era il portato di una scelta, di una più o meno libera riflessione. Oggi spesso essa è diventata “rumore”, uno sfondo che ci accompagna ovunque e che ci distrae. Oggi, infatti, come scrive Milan Kundera “essa urla ovunque e sempre, senza chiedersi se abbiamo voglia di ascoltarla, urla negli altoparlanti, nelle auto, nei ristoranti, negli ascensori, nelle strade, nelle sale d’attesa, nelle palestre, nelle orecchie tappate dai walkman, musica riscritta, ristrumentata, scorciata, dilaniata, frammenti di jazz, di opera, flusso in cui tutto si mescola al punto che non sappiamo chi sia il compositore (la musica diventata rumore è anonima), che non distinguiamo l’inizio dalla fine (la musica diventata rumore non ha forma): l’acqua sporca della musica dove la musica muore”. Noi d’altronde da sempre sappiamo che la musica possiede una forza di penetrazione pari solo a quella dei narcotici o dei fenomeni della trance. Essa ha da sempre valenze enormi. Come dice George Steiner
“la musica può far impazzire e può curare la mente ferita”.
(da Sociologi della comunicazione – Antonio Cavicchia Scalamonti & Gianfranco Pecchinenda)