Adesso io sono un morto, un cadavere in fondo a un pozzo. Ho esalato l’ultimo respiro ormai da tempo, il mio cuore si e’ fermato, ma, a parte quel vigliacco del mio assassino, nessuno sa cosa mi sia successo. Lui, il disgraziato schifoso, per essere sicuro di avermi ucciso ha ascoltato il mio respiro, ha tastato il mio polso, mi ha dato un calcio nel fianco, mi ha portato al pozzo e mi ha preso in braccio per poi buttarmici dentro. La testa me l’aveva gia’ spaccata a colpi di pietra, e cadendo nel pozzo e’ andata in pezzi, la mia faccia, la fronte e le guance, e’ rimasta schiacciata, e’ scomparsa, le ossa si sono spezzate, la bocca si e’ riempita di sangue.
Sono quattro giorni che manco da casa. Mia moglie e i miei figli mi staranno cercando. Mia figlia, sfinita dal pianto, probabilmente stara’ guardando il cancello del giardino; tutti mi staranno aspettando con lo sguardo fisso sulla porta.
Ma mi staranno veramente aspettando? Non lo so. Forse si saranno abituati, che orrore! Perche’ stando qui sembra quasi che la vita che ti sei lasciato dietro continui come sempre. Prima di nascere avevo alle spalle un tempo illimitato. Un tempo che non sarebbe finito neanche dopo la mia morte! Da vivo non pensavo a queste cose, continuavo a vivere
nella luce, nel tempo che passa tra due oscurita’.
Ero felice, ero veramente felice, ora lo capisco.
Orhan Pamuk * Il mio nome e’ rosso.
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posso affermare che le anime squartate in terra qui si ricompongono. E poi, al contrario di quanto affermano gli infedeli miscredenti e i bestemmiatori che credono a Satana, grazie al cielo un aldila’ esiste. Il fatto che io vi parli da li’ ne e’ la prova.
Sono morto, ma come vedete, non sono scomparso. Devo dire pero’ che non ho trovato i padiglioni d’oro del Paradiso, ne’ quelli d’argento sotto i quali scorrono i fiumi, gli alberi dalle foglie enormi e dai frutti maturi, ne’ le belle vergini di cui si parla nel Corano.
Orhan Pamuk * Il mio nome e’ rosso.
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Per farla breve, io che nella corporazione dei miniaturisti e tra i maestri d’arte sono conosciuto come Raffinato Effendi, sono morto ma non
sono stato sepolto. Percio’ la mia anima non ha potuto abbandonare del tutto il corpo. Perche’ la mia anima possa andare verso il Paradiso, l’Inferno, o dove e’ destino che vada, deve uscire dalla sporcizia del corpo. Questa particolare situazione, che puo’ capitare anche ad altri, e’ per la mia anima causa di tremendo dolore. Non sento di avere la testa fracassata, non sento le fratture che spezzano meta’ delle mie ossa, l’orrore di putrefarmi nell’acqua gelida, ma avverto il dolore profondo della mia anima che si divincola nel tentativo di abbandonare il corpo. come se tutto l’universo cominciasse a contrarsi restringendosi in un qualche luogo dentro di me.
Posso paragonare questo senso di contrazione solo alla spaventosa liberazione che ho provato nel momento in cui sono morto.
Orhan Pamuk * Il mio nome e’ rosso.
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Sapere che chi mi vuole bene pensa continuamente a me immaginando che stia perdendo tempo in stupidaggini in qualche angolo di Istanbul, oppure che sia andato dietro a una donna, aumenta il dolore della mia anima inquieta. Basta! Trovate il mio cadavere, seppellitemi e fatemi un funerale con tutte le necessarie preghiere rituali! Ma soprattutto che venga scoperto il mio assassino! Sappiate che finche’ non si scopre quel vigliacco, anche se sepolto nella piu’ bella delle tombe, io attendero’ aggirandomi inquieto per la tomba e insinuero’ in tutti voi la miscredenza.
Orhan Pamuk * Il mio nome e’ rosso.
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Non ho nulla da fare, se non fantasticare
sulle torture che un’anima pia potrebbe infliggere a quel vigliacco del mio assassino, qualora lo trovasse
Orhan Pamuk * Il mio nome e’ rosso.
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Come nelle altre citta’, anche a Istanbul il denaro non aveva piu’ valore. I forni che, negli anni in cui ero andato in Oriente, tiravano fuori delle belle pagnotte grosse per un akçe, adesso, per lo stesso prezzo, davano solo la meta’ di quel pane, un pane che non aveva piu’ il sapore dell’infanzia. Se la buonanima di mia madre avesse visto che
toccava sborsare tre akçe per dodici uova, avrebbe detto «fuggiamo in un altro paese prima che le galline ci cachino in testa», ma sapevo che ovunque il denaro non valeva nulla.
Orhan Pamuk * Il mio nome e’ rosso.
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Sono un cane, e voi che non siete creature ragionevoli quanto me dite che un cane non parla. D’altra parte, sembra che diate credito a una storia in cui a parlare sono i morti e i protagonisti usano parole che non conoscono. I cani parlano, ma solo a chi sa ascoltarli.
Orhan Pamuk * Il mio nome e’ rosso.
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Il nostro Profeta sapeva che il caffe’ intorpidisce la mente, buca lo stomaco, fa venire l’ernia e rende sterili, aveva capito che era un prodotto di Satana e non ne beveva. E poi ormai le sale da caffe’ sono luoghi dove chi e’ in cerca di piacere e i ricchi lussuriosi siedono vicini per compiere ogni tipo di spudoratezza; in
realta’, prima dei conventi dervisci bisognerebbe chiudere quelle sale. I poveri hanno forse i soldi per bere caffe’?
Orhan Pamuk * Il mio nome e’ rosso.
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e’ difficile abituarsi a essere un assassino. Non riesco a stare in casa, vado in strada, non riesco a stare per strada, ne prendo un’altra, poi da quella cammino verso un’altra ancora e quando guardo in faccia le persone vedo che molte di loro si reputano innocenti perche’ non hanno ancora avuto occasione di uccidere. difficile credere che la
maggior parte delle persone siano piu’ oneste o piu’ buone di me solo per questa piccola questione di fortuna o destino. In ogni modo, dato che non
hanno commesso ancora un omicidio, hanno l’espressione un po’ stupida e come tutti gli stupidi sembrano dei bonaccioni. Dopo aver ucciso quel poveretto, mi e’ bastato camminare quattro giorni per le strade di Istanbul per capire che tutti quelli che hanno uno sprazzo di intelligenza negli occhi e un’ombra d’anima in volto sono potenziali assassini. Solo gli stupidi sono innocenti.
Orhan Pamuk * Il mio nome e’ rosso.
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Giunto a quest’eta’, so che il vero rispetto non scaturisce dal cuore ma dalle piccole regole e dalla
sottomissione.
Scoprire che gli piacevano i libri durante gli anni in cui sua madre, vedendo in casa nostra un futuro per il figlio, lo portava spesso qui con ogni scusa, ci ha uniti e – come dicono quelli che abitano nella casa – mi ha fatto da apprendista. Gli raccontavo di come i miniaturisti di Shiraz tracciassero la linea dell’orizzonte nella parte superiore del disegno dando cosi’ origine a un nuovo stile. E di come il grande Maestro Behzat non disegnasse Mejnun come fanno tutti, un pazzo che per amore della sua Leyla girovaga stravolto per i deserti, ma mentre cucina,
mentre cerca di accendere un fuoco soffiando sulla legna, mentre cammina tra le tende in mezzo a una folla di donne, facendo risaltare la sua solitudine molto meglio di chiunque altro. Gli spiegavo quanto fosse ridicolo che la maggior parte dei miniaturisti che disegna il momento in cui Cosroe contempla sirin completamente nuda mentre si bagna nel lago
nel cuore della notte, adoperi il colore per i cavalli e gli abiti degli innamorati in modo del tutto casuale, senza leggere il poema di Nizami, e che se un miniaturista e’ cosi’ distratto da non leggere con attenzione e intelligenza il testo che sta illustrando, l’unico motivo che lo spinge a impugnare penna e pennello non puo’ essere che il denaro.
Orhan Pamuk * Il mio nome e’ rosso.
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Pensando alla mia infanzia rivolsi l’attenzione agli oggetti di casa.
Erano dodici anni che ricordavo il kilim blu proveniente da Kula, la caraffa, il vassoio del caffe’ e il secchio di rame, le tazzine e tutte le volte che mia zia buonanima aveva detto orgogliosa che venivano dalla lontana Cina, via Portogallo. Questi oggetti, proprio come il leggio intarsiato di madreperla nell’angolo, l’attaccapanni sul muro, il cuscino di velluto rosso che toccavo ricordandone la morbidezza, venivano dalla casa del quartiere di Aksaray dove avevo trascorso l’infanzia con seküre
e avevano ancora qualcosa dello scintillio dei giorni felici che avevo
passato disegnando li’.
Felicita’ e disegno. Vorrei che i lettori attenti alla mia storia e al mio destino tenessero sempre in mente questi due fattori come punto di partenza del mio mondo. Qui, un tempo, tra libri, matite e disegni, ero molto felice. Poi mi sono innamorato e sono stato cacciato da questo Paradiso.
Orhan Pamuk * Il mio nome e’ rosso.
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A voi fortunati che sapete leggere e scrivere capita spesso: una persona che non sa leggere vi prega di leggergli una lettera che ha ricevuto e voi la leggete. Le cose scritte possono essere cosi’ impressionanti, emozionanti e conturbanti che il proprietario, imbarazzato dal fatto che siate complici del suo segreto, vi puo’ chiedere, vergognandosi, di leggere la lettera un’altra volta. Voi la leggete. alla fine la lettera
viene letta talmente tante volte che entrambi la imparate a memoria. Poi prendono in mano la lettera e vi chiedono, e’ qui che dice questa cosa,
e’ qui che ha detto quell’altra e guardano il punto che indicate col dito senza conoscere le lettere. a volte, mentre guardano il verso delle lettere e delle parole che sono incapaci di leggere, ma che hanno imparato a memoria, mi commuovo e, dimenticando che anch’io non so leggere e scrivere, mi viene da baciare queste ragazze analfabete che piangono per delle lettere.
Orhan Pamuk * Il mio nome e’ rosso.
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Il rosso di un disegno affollato – mi resi subito conto che ciascuno dei miei maestri ne aveva toccato un angolo – mi fece teneramente paura. Una mano che non capivo a chi appartenesse aveva inserito nel disegno un rosso di una strana tonalita’ secondo una logica segreta, e tutto il
mondo che il disegno mostrava era gradatamente sprofondato nel rosso.
Orhan Pamuk * Il mio nome e’ rosso.
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Se non ci fosse stato scritto sotto, solo io avrei potuto capire che il ragazzo e la ragazza nel disegno eravamo noi, perche’ a volte quando scherzavamo, faceva il mio e il suo ritratto con gli stessi lineamenti e gli stessi colori, io vestita di azzurro e lui di
rosso.
Orhan Pamuk * Il mio nome e’ rosso.
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