Filava tutto così liscio. Minnie e io abbiamo fatto il giro del centro commerciale per le ultime commissioni natalizie. Eravamo quasi alla grotta di Babbo Natale, quando mi sono fermata un attimo a guardare la casa delle bambole, al che Minnie ha afferrato un cavallino dallo scaffale e si è
rifiutata di rimetterlo a posto. Così adesso sono nel pieno di un estenuante “Pony-gate”.
Una madre in jeans J Brand attillatissimi con figlia vestitaalla-perfezione mi passa davanti lanciando la classica Occhiata Mamma, e io sobbalzo. Da quando c’è Minnie ho imparato che l’Occhiata Mamma è persino più spietata dell’Occhiata Manhattan. Con l’Occhiata Mamma, ti squadrano da capo a piedi per valutare fino all’ultimo penny il costo dei tuoi vestiti. E non solo.
Passano in rassegna anche gli abiti di tuo figlio, la marca del passeggino, la borsa dei pannolini, il tipo di merendina e se il pargolo sta sorridendo, urla o ha il moccio al naso.
So che è un bel po’ di roba da cogliere con uno sguardo in un secondo, ma credetemi, le madri sono multitasking
I LOVE MINI SHOPPING * Sophie Kinsella
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l’abbraccio così si sente protetta e al sicuro, proprio come raccomanda Tata Sue nel suo libro Consigli per domare un bambino difficile. L’ho comprato l’altro giorno tanto per dargli una scorsa. Così, per pura curiosità. Voglio dire, con Minnie non ho problemi o altro. Lei non è difficile. Neppure “fuori controllo e cocciuta”, come ha detto quella stupida della sua maestra di musica. (Cosa ne sa? Non è nemmeno capace di suonare bene il triangolo.)
Il problema con Minnie è che lei è… determinata. Ha le sue convinzioni. Come i jeans (non li mette) o le carote (non le mangia). E adesso la sua ferma convinzione è che deve avere a tutti i costi il pony.
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A volte, quando la guardo, è così uguale a suo padre che mi fa sussultare.
A proposito. Dov’è Luke? In teoria, gli acquisti di Natale dovevamo farli insieme. Come una famiglia. Ma lui è scomparso un’ora fa, borbottando che doveva fare una telefonata, e non l’ho più visto. Probabilmente si è rintanato da qualche parte con il giornale a bersi un cappuccino come si
deve. Tipico.
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«Poniiiii!» Stringe al petto il pony come se fosse il suo amico fedele smarrito da molto tempo che era stato venduto al mercato a cinquecento chilometri di distanza ed è appena tornato trascinandosi alla fattoria con le zampe indolenzite e la chiama con nitriti sommessi.
«È solo uno stupido giocattolo» sbotto spazientita. «Cos’ha di tanto speciale, comunque?»
Lo guardo con attenzione per la prima volta.
Wow. In realtà… è decisamente fantastico. Di legno bianco, tutto coperto di stelline luccicanti, ha un muso dipinto a mano che più dolce non si può. E anche le rotelline rosse.
«Il pony non ti serve proprio, Minnie» ribadisco, ma un filino meno convinta di prima. Ho appena notato la sella. Cuoio autentico? E ha le briglie con le borchie come quelle vere, e la criniera è fatta di pelo vero di cavallo. E ti danno anche il kit per la strigliatura!
Quaranta sterline non sono poi uno sproposito. Do un colpetto su una rotellina rossa, e questa si mette a girare perfettamente. Adesso che ci penso, Minnie un pony non ce l’ha. Nel suo armadio dei giochi c’è un vuoto da colmare.
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Dio, odio le altre madri. Devono sempre ficcare il naso. Non fai in tempo ad avere un figlio ed è come se ti trasformassi nella finestra di un sito Internet con la didascalia: “Si prega di scrivere qui tutti i commenti cattivi e offensivi”.
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Ecco cosa vuol dire essere buoni genitori: indicare a tuo figlio le strade del mondo.
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Minnie viziata? Assurdo. Assolutamente assurdo.
Okay, ha i suoi momenti. Come tutti, d’altronde. Ma non è viziata. Lo saprei: sono sua madre.
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Mentre camminiamo, lo guido con nonchalance verso il lato opposto del centro commerciale. Senza
un motivo preciso, a dire il vero. Solo perché ci sono le vetrine più belle. Come le gioiellerie dove ti
fanno tutto su ordinazione… e il negozio dei fiori di seta… e Enfant Cocotte, che è pieno di cavallini
a dondolo artigianali di palissandro, di alto design.
Ho rallentato notevolmente l’andatura e mi dirigo verso una vetrina illuminata a giorno zeppa di
tentazioni insidiose. Guarda che cose fantastiche. Guarda quelle tutine, e le copertine.
Se avessimo un altro bambino, potremmo comprare una serie di deliziose copertine nuove. E
sarebbe tutto dolce e tenero, e Minnie potrebbe aiutare a spingere la carrozzina, e saremmo una vera
famiglia..
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Los Angeles è piena di negozi, no? E io avrò la green card, giusto?»
«Be’… fantastico!» Alza il bicchiere verso di me. «A quanto pare, abbiamo un progetto.»
Parla sul serio? È proprio così?
«Quindi… staremo a Hollywood» dico, tanto per essere sicura. «Tre mesi.»
«Sì.»
«Non sono mai stata a Hollywood.»
«Lo so.» Sorride. «Divertente, eh?»
Il mio cuore saltella qua e là come un pesciolino. Hollywood! Io, Becky Brandon, nata Bloomwood,
a Hollywood!
Luke sta dicendo qualcos’altro. Muove le labbra, ma non riesco a sentirlo. La mia mente è troppo
piena di immagini irresistibili. Io che sfreccio sui rollerblade, tutta abbronzata e tonica. Io al volante
di una decappottabile sul Sunset Boulevard. (Bisogna che scopra come si guidano le macchine
americane.) Io e Sage Seymour stese sui bordi della sua piscina rosa conchiglia con i bikini presi in
una boutique molto trendy in centro, e Minnie con un adorabile prendisole.
La gente mi chiamerà la Ragazza con l’Accento Inglese. O magari la Ragazza Amica del Cuore di
Sage Seymour. O forse… la Ragazza con gli Occhiali da Sole Bianchi. (Sì, domani li compro. Può
essere il mio look.)
E ci sarà sempre il sole! E berremo i frullati in Rodeo Drive! E magari andremo alla serata degli
Oscar… forse incontreremo Johnny Depp… farò una comparsata in un film…
«Becky?» La voce di Luke mi riporta di colpo al presente. «Che ne pensi?»
Sorrido così tanto da avere la sensazione che la faccia mi si divida in due.
«Quando partiamo?»
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