“Ebbi una specie di collasso psicologico: non riuscivo più a fare le foto. Troppo dolore: che senso ha fare le foto in una situazione del genere? Mi chiedevo. (…) Ero bloccato, volevo tornarmene indietro. Verso le sei e mezza, sempre arzigogolando su torno o non torno, come faccio a fotografare…, mi sono accorto che i miei pensieri stavano prendendo altre direzioni. Solo dopo un bel po’ mi resi conto che cominciavo ad aver fame e a domandarmi che cosa e dove potessi mangiare. Più la fame aumentava e meno ero preoccupato del fatto che lì intorno stessero morendo cinquanta, cento persone al giorno, mi laceravo sempre meno sul significato di fotografare, mentre invece pensavo sempre di più che, semplicemente, avevo fame. Lentamente riemersi e cominciai a riflettere sul fatto che questo forse voleva dire che il mio corpo esisteva, esisteva la mia necessità fisica, più impellente e pervasiva di ogni blocco psicologico e morale. Che potevo fuggire dal dolore, ma non dalla fame, non dal mio corpo. Fai il fotografo? Non è questo che volevi fare? Fallo bene allora. Cerca di mettere nelle tue foto la tua angoscia e la tua pietà. Non pretendere di cambiare il mondo con la tua fragilità. Non fuggire. Tornai a fare il mio mestiere. E’ una lezione che non ho più dimenticato”.
FERDINADO SCIANNA, parlando di un suo servizio a Makallé, in Etiopia, piagata da una carestia
***
Da noi il fotografo è “al seguito” del giornalista. Una volta un cronista mi disse: “Tu sei troppo intelligente per fare foto, devi scrivere”
FERDINANDO SCIANNA
***
Un tempo a nessuno sarebbe venuto in mente di comprare una foto di guerra mentre oggi sono nei musei, alle aste. Così ci sono fotografi che vanno in guerra per stampare foto lunghe tre metri e metterle in galleria. Ma non si possono fare le stesse fotografie per un giornale, un libro e per una galleria d’arte. Il rapporto che si ha con gli eventi, l’autenticità, è diversa. Il fatto che una certa fotografia sia approdata all’arte è sintomo della fine del ruolo che ha avuto nei suoi quasi due secoli di vita.
FERDINANDO SCIANNA
***
in certe riviste per turisti: c’è la foto della spiaggia bianca con le palme, la didascalia che dice “spiaggia bianca con palma” e l’articolo del giornalista che elogia lo splendore della spiaggia bianca. Da pazzi. La foto non deve essere per forza descrittiva. Deve raccontare. Può essere metaforica. Un colpo d’occhio
FERDINANDO SCIANNA* intervista con Vittorio Zincone – marzo 2010
***
«L’antropologo Ernesto de Martino scrisse: “Soltanto chi ha un villaggio nella memoria, può fare un’esperienza cosmopolita”. La mia Sicilia è soprattutto al centro delle foto fatte altrove».
[…]
«Come Cartier-Bresson, nato sotto le nuvole della Normandia, diceva che la sua luce ideale era un giorno luminoso senza ombre, la mia luce ideale è quella per cui mia madre mi ordinava di mettermi un cappello che se no schiattavo per l’insolazione».
FERDINANDO SCIANNA* intervista con Vittorio Zincone – marzo 2010
***
Mi piaceva che venisse apprezzato quel che facevo. La fotografia per me non è mai stata una vocazione. Era la via di fuga dalla Sicilia
FERDINANDO SCIANNA* intervista con Vittorio Zincone – marzo 2010
***
L’essere residuo, traccia e tragedia può essere eliminato solo in due modi, per dirla con Barthes, divinizzandola e inflazionandola. I due processi si sono compiuti contemporaneamente: l’approssimazione all’arte l’ha divinizzata, resa oggetto da museo e merce di scambio; l’inflazione è all’ordine del giorno. È un processo duchampiano e il digitale è solo una conseguenza del mondo in cui viviamo, che toglie il carisma del documento nel paradosso. Le case che producono macchine fotografiche digitali forniscono anche i programmi che ne certificano la non manipolazione, cercando così di restituirle il suo status. Si dimentica che la fotografia proprio nell’essere traccia ha cambiato la visione del mondo e la struttura della memoria. Oggi il suo essere ponte tra noi e la realtà disturba e allora vogliamo superarla per vedere un’immagine sognata, un grande muro colorato.
FERDINANDO SCIANNA
***
Se pensi la fotografia come strumento per produrre narrazione, documento e memoria non hai lo stesso atteggiamento di chi vuole creare un’icona, ovvero del pittore, il cui senso estetico è nella forma dell’atto. Questa produce immagini estetiche e non c’è nulla di più inutile di una bella foto e di più contradditorio di una concettuale. Cartier-Bresson non sarebbe diventato Cartier-Bresson se in Images à la Sauvette non fosse stato presente il testo in cui definisce la fotografia. Io credo che il fotografo sia un lettore del mondo e che le immagini siano ricevute. Quando Glenn Gould suona Bach non è Bach, lo interpreta. Il mondo scrive l’immagine: il fotografo l’interpreta.
FERDINANDO SCIANNA
***
La mia vicenda fotografica non è partita dalla fotografia stessa ma dalle cose che avevo da dire.
FERDINANDO SCIANNA* Intervista con A.Madesani gen1998
***
Sciascia citava sempre Pirandello che diceva: ci sono duo tipi di scrittori, quelli di cose e quelli di parole. Una fortissima discriminante anche per la fotografia. Ci sono i fotografi che guardano il mondo per farne fotografie e quelli che fanno fotografie per l’esigenza di raccontare il mondo.
FERDINANDO SCIANNA* Intervista con A.Madesani gen1998
***
Il fotografo ha la fortuna di potere costruire le immagini ricevendole. Il gesto del fotografare consiste nel ricevere, è un modo di leggere il mondo interpretandolo. E’ nella maniera in cui sceglie i suoi rettangoli o quadrati di tempo e di vita che il fotografo finisce col costruire il suo mondo.
FERDINANDO SCIANNA* Intervista con A.Madesani gen1998
***
Per Cartier-Bresson la fotografia è una risposta immediata a una domanda. Prima della fotografia l’uomo non disponeva di uno strumento simile. Tutte le immagini erano frutto di costruzioni linguistiche, con la fotografia diventano figlie di una lettura interpretativa: quelle buone, si capisce. Il tutto in una sorta di coincidenza zen fra l’istante che non esiste e il fotografo che lo fa esistere. E non mi pare una cosuccia così umiliante.
FERDINANDO SCIANNA* Intervista con A.Madesani gen1998
***
Sono sempre irritato da proposte fotografiche dell’indifferenziato. Perché sinonimo stesso di cultura è scelta. Tutti noi scegliamo, e non solo la fotografie ma i quadri, l’arte, le compagnie, il cibo. […] e facendo fotografia scegliamo un istante piuttosto che un altro. La scelta di tutti gli istanti che hai scelto in anni di vita e di fotografo, ti identifica.
Ferdinando Scianna
***