Non sapendo credere in Dio, e non potendo credere in una somma di animali, sono rimasto, come altri a margine delle genti, in quella
distanza da tutto ciò che comunemente è chiamato Decadenza. La Decadenza è la perdita totale dell’incoscienza; perché l’incoscienza è il
fondamento della vita. Il cuore, se potesse pensare, si fermerebbe.
FERNANDO PESSOA – IL LIBRO DELL’INQUIETUDINE
***
Sappiamo bene che ogni opera è necessariamente imperfetta, e che la meno sicura delle nostre contemplazioni estetiche sarà quella di cui
scriviamo. Ma tutto è imperfetto, non c’è tramonto così bello da non poterlo essere di più, o brezza lieve che invita al sonno che non possa
favorire un sonno ancora più sereno. E così, uguali contemplatori delle montagne e delle statue, godendo dei giorni come dei libri, sognando
tutto, soprattutto, per trasformarlo nella nostra intima sostanza, procederemo anche a descrizioni e analisi, che, una volta fatte, diventeranno
cose estranee, che possiamo assaporare come se ci giungessero sul far della sera.
FERNANDO PESSOA – IL LIBRO DELL’INQUIETUDINE
***
Considero la vita una locanda, dove devo fermarmi fino all’arrivo della diligenza dell’abisso. Non so dove mi condurrà, perché non so niente.
Potrei considerare questa locanda una prigione, perché in essa sono costretto all’attesa; potrei considerarla un luogo in cui socializzare,
perché qui mi ritrovo insieme ad altri. Non sono, però, né impaziente né spontaneamente naturale. […] Mi siedo alla porta e imbevo i miei occhi e orecchi dei colori e dei suoni del paesaggio, e
canto sommessamente, solo per me, vaghe canzoni che compongo nell’attesa.
Per tutti noi scenderà la notte e arriverà la diligenza. Godo della brezza che mi è data e dell’anima che mi è stata data per goderla, e non mi
pongo altre domande né cerco altro. Se ciò che lascerò scritto nel libro dei clienti, riletto un giorno da qualcuno, potrà intrattenerlo nel transito,
andrà bene. Se nessuno lo leggerà, né si intratterrà, andrà ugualmente bene.
FERNANDO PESSOA – IL LIBRO DELL’INQUIETUDINE
***
Il mondo esterno esiste come un attore sul palco: è lì, ma è un’altra cosa.
FERNANDO PESSOA – IL LIBRO DELL’INQUIETUDINE
***
Se sollevavo dai libri i miei occhi
stanchi, o se dai miei pensieri sviavo la mia perturbata attenzione verso il mondo esterno, vedevo soltanto una cosa, che mi smentiva ogni
utilità di leggere e pensare, strappandomi ad uno ad uno tutti i petali dell’idea dello sforzo: l’infinita complessità delle cose, l’immensa somma
[…], la prolissa irraggiungibilità degli stessi scarsi fatti che si potrebbero considerare necessari per la formulazione di una scienza
FERNANDO PESSOA – IL LIBRO DELL’INQUIETUDINE
***
È forse arrivata l’ora che io faccia lo sforzo concreto di dare uno sguardo alla mia vita. Mi vedo nel mezzo di un deserto immenso. Parlo di
quello che ieri letterariamente sono stato, cerco di spiegare a me stesso come sono arrivato fin qui.
FERNANDO PESSOA – IL LIBRO DELL’INQUIETUDINE
***
Ho concentrato e limitato i miei desideri, per poterli perfezionare meglio. Per arrivare all’infinito, e credo vi si possa arrivare, abbiamo
bisogno di un porto, di uno soltanto, sicuro, e da lì partire verso l’Indefinito.
Oggi sono un ascetico nella mia religione di me stesso. Una tazza di caffé, una sigaretta e i miei sogni sostituiscono bene l’universo e le
sue stelle, il lavoro, l’amore e perfino la bellezza e la gloria. Quasi non ho bisogno di stimoli. L’oppio ce l’ho nell’anima.
FERNANDO PESSOA – IL LIBRO DELL’INQUIETUDINE
***
Ma il contrasto non mi opprime – mi libera; e l’ironia che c’è in esso è sangue mio.
FERNANDO PESSOA – IL LIBRO DELL’INQUIETUDINE
***
E al tavolo della mia stanza assurda, ordinaria, impiegato e anonimo, scrivo parole come la salvezza dell’anima e mi indoro del tramonto
impossibile di monti alti vasti e lontani, della mia statua ricevuta per mezzo di piaceri, e dell’anello di rinuncia al mio dito evangelico, gioiello
fisso del mio disprezzo estatico.
FERNANDO PESSOA – IL LIBRO DELL’INQUIETUDINE
***
La vita è l’esitazione tra un’esclamazione e un interrogarsi. Nel dubbio, c’è un punto finale.
FERNANDO PESSOA – IL LIBRO DELL’INQUIETUDINE
***
Suppongo di essere ciò che chiamano un decadente, che ci siano in me, come definizione esteriore del mio spirito, quei tremolii tristi di una
stranezza posticcia che incorporano in parole inattese un’anima ansiosa e funambola. Sento che sono così e sono assurdo.
FERNANDO PESSOA – IL LIBRO DELL’INQUIETUDINE
***
Chi eravamo? Eravamo due o due forme di uno? Non lo sapevamo né ce lo chiedevamo: un sole vago doveva esserci, dato che nella
foresta non era notte. Una vaga fine doveva esserci, dato che camminavamo. Un mondo qualsiasi doveva esserci, dato che c’era la foresta.
Noi, comunque, eravamo estranei a ciò che fosse o potesse essere, eterni camminatori all’unisono su foglie morte, ascoltatori anonimi e
impossibili di foglie cadenti. Niente di più.
FERNANDO PESSOA – IL LIBRO DELL’INQUIETUDINE
***
Ogni volta che vedo un gatto al sole mi viene in mente l’umanità. Ogni
volta che vedo qualcuno dormire mi viene in mente che tutto è sonno. Ogni volta che qualcuno mi dice di avere sognato, penso se costui pensi
al fatto che non abbia mai fatto altro che sognare. Il rumore della strada aumenta, come se una porta si aprisse, e suonano al campanello
FERNANDO PESSOA – IL LIBRO DELL’INQUIETUDINE
***