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Sembrava una ragazzina sveglia. E lo era. A scuola tutto bene, genitori e maestri entusiasti. Ottimi voti, palestra due volte a settimana. Lezioni di pianoforte con la maestra Ada, postura irreprensibile, schiena dritta e mani poggiate con leggerezza sulla tastiera.
Alla mamma non restava che farsene un continuo vanto : “Mia figlia, una ragazza d’oro, un vero gioiello”, si figuri che sono andata a sentire il saggio di pianoforte. Mi sono seduta in prima fila, proprio davanti a lei. Mi sono commossa. Ah, la mia piccola una vera donnina, mi aiuta in casa come se fosse già un’adulta. Beato l’uomo che la sposerà”.
Ma le lodi non venivano solo dalla madre, c’era anche la nonna, anzi tutti e quattro i nonni perché, per essere perfetti, non ne deve essere morto nemmeno uno. Il papà parlava poco di lei, si scherniva e andava in un brodo di giuggiole al solo pensiero .
Insomma erano tutti contenti . Anche lei era contenta, ma non di lei. Era contenta perché vedeva tutti contenti e quindi credeva che la vita fosse fatta così. Una vita contenta tra i contenti, nel massimo ordine. A casa nulla era fuori posti, c’era un posto a tutto. La famiglia viveva in un sano ordine naturale. Per esempio, quando indossavano qualsiasi vestito, camicia, giacca, questi non apparivano mai sgualciti, anche a fine giornata. Ad agosto, il caldo non esisteva per loro. Una magrezza sobria e innaturale li proteggeva.
Perfetti. Tutti. In ogni occasione. Inutile dire che anche le acconciature erano perfette e, madre e figlia, non usavano mai truccarsi: erano magicamente deliziose anche al risveglio.
E tutto sarebbe andato nel migliore dei modi, secondo il manuale dell’esistenza prevedibile e perfetta , se non fosse stato per un neo. Un piccolo neo. Ma in verità lei non sapeva se si trattasse di un neo o di una piccola voglia. Dell’esistenza di questo neo, lei era l’unica a conoscenza. Chiariamo subito che di nèi ne aveva, ma tutti erano distribuiti armonicamente sul suo corpo, tranne quello. Aveva osato posarsi sul lato interno dell’alluce e, anche se normalmente riparato tra le due dita del piede, pareva mostrarsi nei momenti meno opportuni. Per esempio, all’atto di provare un sandalo nuovo.
La ragazzina, se pur irreprensibilmente, appariva infastidita da questa insolita macchiolina. Preferiva dunque non mostrare mai i suoi piedini armoniosi e dalle forme delicate. In spiaggia, ad esempio, li teneva sempre leggermente nascosti nella sabbia.
Con l’andare degli anni, il pensiero del neo, di quella imperfezione, aveva finito per tormentarla. Aveva prima sentito il medico di famiglia, uno zio luminare. Questi le aveva consigliato un ciclo di pediluvi con bicarbonato. Successivamente, visto che la giovane non reagiva alla cura, si ricorse anche alla lampada abbronzante. Insoddisfatta, provò con impacchi di melone, infusi di coriandolo, sterco di capra, rugiada di tiglio. Nulla.
Ritenendosi in preda a forze sovrannaturali, si rivolse ad un religioso, il quale dichiarò la propria incompetenza in materia di nèi. Poi fu la volta di mago, che si limitò a predirle il futuro. Di queste rivelazioni non diremo nulla: per motivi di riservatezza e perché anticipazioni potrebbero essere in contrasto con la fine di questo breve racconto. Inoltre, il mago, in preda ad una vero e proprio parossismo di veggenza, non si limitò solo al futuro della cliente. Predisse anche quello dei genitori, dei nonni (in questo caso non fu difficile perché, nonostante il bell’aspetto, soffrivano già di gastrite folgorante), del portiere del palazzo, della maestra Ada, delle maestre di scuola, del parroco, del quartiere dove abitava, e così via. Fino al futuro di chi scrive che, dopo averci riflettuto, capì di essersi messo in un bell’impaccio da solo. Tuttavia, dopo un momento di smarrimento, l’autore decise d’inquadrare questo increscioso episodio nell’imprevedibile, interessante e oscura vita dello scrittore (che non è sempre compatibile con l’esuberanza dei maghi).
La donna, perché oramai era divenuta tale, perse lentamente il suo proverbiale contegno e si affidò ad una serie di personaggi che non solo l’illudevano ma, dopo aver fallito, le infondevano anche un senso di colpa. Evidentemente dipendeva da lei, e solo da lei, il non voler guarire da quella grave imperfezione.
In ultimo, nel presepio della vita, si materializzò anche il santone, uno sciamano precisamente. Questi capì, nella sua esoterica intelligenza, che un chiacchierata con gli spiriti avrebbe certamente ricondotto a più miti pretese la podologica macchia.
A Bordo di una canoa, lo sciamano, approfittando di una trance, condusse la donna in un viaggio misterioso. Il viaggio durò diversi giorni e, quando tornarono, si leggeva sui loro volti sconvolti che il neo aveva resistito, indelebile.
Divenuta anziana la donna attese il suo novantesimo compleanno per lasciare questa terra. Lo fece per due motivi. il novanta è un numero divisibile per due, per tre, per cinque, per nove, per dieci ed è soprattutto cifra tonda, compimento delle decina. L’altro motivo è che se qualcuno avesse voluto giocare al lotto gli anni della sua vita, il novanta era l’ultimo numero utile. Si comportò dunque con cabalistico rispetto, rispecchiando, anche nell’aritmetica, la precisione della sua esistenza.
Arrivata nell’aldilà, si accorse subito che quel mondo non faceva per lei. Vi regnava infatti una gran confusione e non era come si racconta nell’al di qua, cioè tutto lindo, tinto e ordinato. Per prima cosa non c’erano nuvole sulle quali camminare, niente vestiti bianchi e niente porte o portoni. Di conseguenza niente chiavi e portinai. Questo fatto le sembrò insopportabile, pensò di aver sbagliato posto, che qualcuno le avesse tirato un brutto scherzo. Per questo motivo si decise a chiedere informazioni.
C’era lì un giovinetto seduto. Da alcuni dettagli si capiva che doveva essere uno di figuranti che appaiono nei racconti degli scrittori.
– Dove siamo? Chiese la donna.
– Nell’aldilà! Rispose annoiato il giovanetto.
– Siamo sicuri?
– Sì, certo. Mi lasci indovinare, signora, lei ha per caso un puntino nero sulla parte interna dell’alluce?
– E lei come fa a saperlo? E mentre lo diceva si assicurò che i piedi fossero coperti.
– Perché qui hanno tutti quel coso.
– Tutti?
– Tutti.
– Ma allora…
– Scommetto anche che lei ha passato tutta la vita cercando di toglierlo via …
– Si, è vero..
Il giovane scoppiò in una risata ora solenne ora isterica. Sembrava non riuscire più a fermarsi. La donna lo guardava turbata e impaurita. Il giovane continuava a ridere contorcendosi e asciugandosi gli occhi dalla lacrime che, nel ridere a crepapelle, gli scendevano sul viso. Poi sembrò calmarsi.
– Quindi, lei non ha mai capito cosa fosse quella macchia? Le chiese il giovane.
– Un neo, un piccolo insignificante neo. Cosa dovrebbe essere?
– Un neo?
– Sì un neo, e che altro avrebbe dovuto essere? D’altronde mi guardi, non le sembro una persona ordinata?
– E certo, quindi non ha mai riflettuto sull’origine di quella macchiolina?
– No. A dire il vero mi sembrava solo un fastidio. Una piccola zona colorata fuori posto. Il sintomo di un disordine che non ho mai tollerato.
– Ha detto bene!
– Cosa?
– Disordine!
– Lasci perdere quella parola…
– Vede che allora si trova nel posto giusto?
– E perché mai?
– Perché questo è il regno del disordine?
– Ma allora non siano nell’aldilà?
– Sì che ci siamo!
– E quella piccola macchia?
– Ma non ha ancora capito? E riprese a ridere a più non posso. Poi cercando di trattenersi riuscì appena a sussurrare: È la sua coscienza! Signora, la sua coscienza!