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Frasi Malinconiche
Sono le quattro e trenta del mattino.
La mia notte mi strema. Sa bene che mi manchi e tutta la sua oscurità non basta a nascondere quest’evidenza che brilla come una lama nel buio, la mia notte vorrebbe avere ali per volare fino a te, avvolgerti nel sonno e ricondurti a me. Nel sonno mi sentiresti vicina e senza risvegliarti le tue braccia mi stringerebbero. La mia notte non porta consiglio. La mia notte pensa a te, come un sogno a occhi aperti. La mia notte si intristisce e si perde. La mia notte accentua la mia solitudine, tutte le solitudini. Il suo silenzio ascolta solo le mie voci interiori. La mia notte è lunga, lunga, lunga. La mia notte avrebbe paura che il giorno non appaia più ma allo stesso tempo la mia notte teme la sua apparizione, perché il giorno è un giorno artificiale in cui ogni ora vale il doppio e senza di te non è più veramente vissuta. La mia notte si chiede se il mio giorno somiglia alla mia notte. Cosa che spiegherebbe la mia notte, perché tempo anche il giorno. La mia notte ha voglia di vestirmi e di spingermi fuori per andare a cercare il mio uomo. Ma la mia notte sa che ciò che chiamano follia, da ogni ordine, semina disordine, è proibito. La mia notte si chiede cosa non sia proibito. Non è proibito fare corpo con lei, questo, lo sa, ma si irrita nel vedere una carne fare corpo con lei sul filo della disperazione. Una carne non è fatta per sposare il nulla. La mia notte ti ama fin nel suo intimo, e risuona anche del mio. La mia notte si nutre di echi immaginari. Essa, può farlo. Io, fallisco. La mia notte mi osserva. Il suo sguardo è liscio e si insinua in ogni cosa. La mia notte vorrebbe che tu fossi qui per insinuarsi anche dentro di te con tenerezza. La mia notte ti aspetta. Il mio corpo ti attende. La mia notte vorrebbe che tu riposassi nell’incavo della mia spalla e che io riposassi nell’incavo della tua. La mia notte vorrebbe essere spettatrice del mio e del tuo godimento, vederti e vedermi fremere di piacere. La mia notte vorrebbe vedere i nostri sguardi e avere i nostri sguardi pieni di desiderio. La mia notte vorrebbe tenere fra le mani ogni spasmo. La mia notte diventerebbe dolce. La mia notte si lamenta in silenzio della sua solitudine al ricordo di te. La mia notte è lunga, lunga, lunga. Perde la testa ma non può allontanare la tua immagine da me, non può dissipare il mio desiderio. Sta morendo perché non sei qui e mi uccide. La mia notte ti cerca continuamente. Il mio corpo non riesce a concepire che qualche strada o una qualsiasi geografia ci separi. Il mio corpo diventa pazzo di dolore di non poter riconoscere nel cuore della notte la tua figura o la tua ombra. Il mio corpo vorrebbe abbracciarti nel sonno. Il mio corpo vorrebbe dormire in piena notte e in quelle tenebre essere risvegliato al tuo abbraccio. La mia notte urla e si strappa i veli, la mia notte si scontra con il proprio silenzio, ma il tuo corpo resta introvabile. Mi manchi tanto, tanto. Le tue parole. Il tuo colore.
Fra poco si leverà il sole..
Frida Kahlo – Lettera di Frida Kahlo a Diego Rivera
Si abbracciarono a lungo come due bimbi sperduti, e finalmente cercarono ognuno la bocca dell’altro e si baciarono trepidi con la passione che avevano coltivata in anni di segrete fantasie.
Carmen mise via in fretta ogni cosa, piegò il suo tavolo e tutti e due si avviarono spingendo un carrettino da mercato su cui c’erano le scatole dei gioielli, guardandosi avidamente, in cerca di un posto per fare l’amore. L’urgenza era tale che non si concessero il tempo di parlare di niente, avevano bisogno di toccarsi, esplorarsi e convincersi reciprocamente che l’altro era proprio come l’aveva immaginato. Lei non volle dividere Gregory con Joan e Susan, temeva che se fossero andati a casa loro l’incontro sarebbe stato inevitabile e per quanto discrete fossero le due donne, sarebbe stato ben difficile eludere la loro compagnia, lui pensò la stessa cosa e senza consultarla la portò in un misero motel il cui unico pregio era la vicinanza. Lì si spogliarono frettolosamente e rotolarono sul letto storditi dall’ansia, affannati. Il primo abbraccio fu intenso e violento, si assalirono senza preamboli in un tumulto di sospiri e lenzuola, si aggredirono senza tregua e poi caddero vinti, per qualche minuto, da un profondo sopore. Carmen si svegliò per prima e si sollevò per osservare
quell’uomo col quale era cresciuta e che tuttavia adesso le sembrava un estraneo.
Aveva sognato di lui infinite volte e ora eccolo nudo alla portata della sua bocca. La guerra lo aveva intagliato a colpi di scalpello, era più magro e muscoloso, i tendini risaltavano come corde sotto la pelle e in una gamba le vene erano segnate e azzurre, traccia dell’incidente dei suoi tempi di manovale. Anche nel sonno era teso. Lo baciò con malinconia, aveva immaginato un incontro molto diverso, non quella specie di violenza reciproca, quella battaglia spietata, non avevano fatto l’amore, ma qualcosa che le lasciò un gusto di peccato. Le sembrò che lui non fosse del tutto li, il suo spirito era assente, non aveva abbracciato lei ma chissà quale fantasma del suo passato o dei suoi incubi, non c’era stata tenerezza, complicità, gioia, non lo aveva udito mormorare il suo nome né l’aveva visto guardarla negli occhi. Neppure lei era stata nella sua miglior forma, però non sapeva in cosa avesse sbagliato, Gregory aveva segnato il ritmo e tutto era seguito così disperatamente che lei si era perduta in una giungla oscura e ne emergeva ora calda, umida, un po’ dolente e triste. Gli insuccessi in amore non avevano distrutto la sua capacità di tenerezza. Pronta a riceverlo, si era scontrata con l’insospettata resistenza di questo amico atteso fin dall’infanzia; però lo attribuì alle privazioni della guerra e non perse la speranza di trovare uno spiraglio attraverso il quale entrargli nell’anima.
[…] Si rivestirono molto tempo dopo, quando il bisogno di respirare aria fresca e di mangiare qualcosa di più che pizza fredda e birra tiepida, unico servizio del motel, li riportò alla realtà.
Ebbero il tempo di accarezzarsi con più calma e raccontarsi del passato, di terminare le conversazioni iniziate al telefono per anni, di ricordare Juan José, di raccontarsi le illusioni infrante, gli amori falliti, i progetti non conclusi, le avventure e i dolori accumulati.
In quelle ore Carmen constatò che Gregory era cambiato non solo nel fisico, ma anche nell’anima, ma pensò che col tempo si sarebbero cancellati i brutti ricordi e sarebbe tornato a essere quello di prima, il buon amico sentimentale e divertente col quale vinceva concorsi di rock’n’roll, il confidente, il fratello. No, fratello, mai più, si disse con dolore. Quando la curiosità del conoscersi fu spenta, si rivestirono e uscirono per strada, lasciando nella stanza il carretto con la bigiotteria.
Seduti davanti a fumanti bricchi di caffè e toast croccanti, si guardarono nella luce rossastra della sera e si sentirono a disagio. Non sapevano che cosa fosse l’ombra calata tra di loro, ma nessuno dei due poté ignorare il suo effetto negativo. Avevano soddisfatto l’urgenza del desiderio, ma non c’era stato vero incanto, non si erano fusi in un solo spirito né si era loro rivelato un amore capace di cambiare le loro vite, come avevano immaginato. Una volta vestiti e appagati capirono quanto le loro strade divergessero, si trovavano d’accordo su ben poche cose, i loro interessi erano differenti, non condividevano progetti né valori. Quando Gregory espose il suo progetto di diventare un avvocato di successo e di far denaro, lei pensò che scherzasse, quell’avidità non gli calzava affatto, dov’erano rimasti gli ideali, i libri ispirati e i discorsi di Ciro con cui tante volte durante l’adolescenza l’annoiava e dei quali lei si burlava per farlo arrabbiare, ma che in fondo aveva fatto suoi. Per anni aveva pensato di essere lei la più frivola e lo aveva considerato come una guida, adesso si sentiva tradita. Quanto a Gregory non aveva la pazienza di ascoltare l’opinione di Carmen su argomenti importanti, dalla guerra agli hippy, gli sembravano le sparate di una ragazza viziata e bohémien che non era mai stata in situazioni di vero bisogno. Il fatto che si sentisse veramente realizzata vendendo gioielli per le strade e pensasse di passare il resto della sua esistenza come una vagabonda spingendo il suo carrettino e vivendo d’aria, gomito a gomito con dementi e falliti, era una prova convincente della sua immaturità.
“Sei diventato un capitalista,” lo accusò Carmen inorridita.
“E perché no? Tu non hai la minima idea di quello che sia un capitalista!” replicò Gregory, e lei non seppe spiegare quello che le pesava sul cuore e si irretì in divagazioni che suonarono come frasi enfatiche da adolescente.
Avevano pagato la camera al motel per un’altra notte, ma dopo avere terminato in silenzio la terza tazza di caffè, ciascuno chiuso nei propri pensieri, e avere passeggiato un po’ osservando lo spettacolo della strada all’imbrunire, lei disse che doveva riprendere le sue cose al motel e tornare a casa perché aveva molto lavoro in sospeso. Questo evitò a Reeves la brutta parte di inventare una scusa. Si separarono con un rapido bacio sulle labbra e la vaga promessa di rivedersi prestissimo.
ISABEL ALLENDE * IL PIANO INFINITO
Mi fa male risentire quella voce ,quella voce che ormai è distaccata ,quella voce che prima mi parlava in un modo così dolce , mi prometteva tante cose e mi amava . Come vorrei trovarne un altra , come vorrei riuscire almeno a dimenticarla ma più si va avanti e più diventa difficile …. Ci ho provato ma è davvero impossibile, per un momento mi è sembrato di riuscirci poi mi sono accorta che in quella voce c’eri ancora o almeno io non riuscivo a non sentire altro che te .E pensare che adesso quella voce è di qualcun altro,chissà se è ancora così dolce e soave ,chissà se ha ancora quella punta di prepotenza nel dire che l’amore che prova va al disopra di ogni cosa , chissà se ha ancora quel po’ di gelosia che non guasta mai , chissà se promette ancora cose impossibili , chissà se ama ancora come prima .Vorrei tanto che un giorno tornasse a essere mia ,perchè sono sicura che solo io sono capace di apprezzarla davvero,solo io posso davvero capirla …
Lo vedi??Vedi a che punto mi hai fatto arrivare??Sono sui piedi di un abisso, ho le ali bruciate. Ma lo vedi che bruciano anche da dentro? sono i miei pensieri e le miei colpe che mi ardono dentro e non c’è acqua che plachi questo fuoco,non ci sono parole per placare quello che sento, la paura, la rabbia,l’orgoglio,la gioia e la tristezza che mi porto ancora dentro.Non ho trovato qualcosa capace di cancellare tutto questo perchè forse è indelebile e fa male ogni volta di più,ad ogni minimo sussulto del cuore,in ogni istante.
E intanto continuo a bruciare senza sapere cosa fai,dove sei….perchè…
© MGrazia Tulimieri