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Io odio i gerani. Sono anni che mia madre abbellisce l’atrio con questi maledetti fiori lilla. “Tutte le case hanno i fiori al balcone!”, mi ricorda quotidianamente mia madre. Ed io quotidianamente le rispondo: “Mamma, questa casa non ha i balconi. Questa non è una casa, è un prefabbricato, un container. Noi viviamo al piano terra!”.Viviamo. Che parola grossa. Sopravviviamo. Sopravvivo in una scatola di latta qui a Pregiato a Cava de’ Tirreni da oltre vent’anni insieme a mia madre Mena e a mio padre Peppe. Nel corso di questi anni poi si sono aggiunti mio marito Matteo e la vita mia, mia figlia Debora.
È da quando avevo dieci anni che vivo qui. Mia madre da piccola mi diceva che ero fortunata, che vivevo in un posto importante, un posto di lusso, mica come in Africa dove i bambini si muoiono di fame. Io vivevo a Pregiato. Un posto pregiato, di pregio. Un posto prezioso ed unico. Casa mia, insomma.
Queste mura di cartongesso hanno assistito al mio essere donna per la prima volta, hanno assistito alle liti con mio padre quando adolescente volevo uscire con la minigonna e il tacco dodici, hanno ascoltato le prime telefonate con i fidanzatini di scuola, hanno assorbito tutto questo mentre fuori il mondo cambiava. E forse pure io.
Ho visto crescere il mostro di cemento del Palazzetto dello Sport che si è rubato il tramonto e non ha neppure visto l’alba, perché da quindici anni è solo un feto abortito. I miei amici pian piano sono andati via. Il tempo ha portato via le mie amichette con quali giocavo a palla avvelenata.
Chi se ne è scappata al Nord. Chi ha sposato un uomo con i soldi ed ha abbandonato la sua scatola di latta. Chi è morta. Sì, perché c’è anche chi è morta. Le lamiere d’amianto, l’hanno giorno dopo giorno uccisa da dentro, dall’interno, silenziosamente e vigliaccamente. E così un giorno si è passati dal giocare a palla avvelenata ad essere atterrata in quanto avvelenata dalle lastre di amianto che servivano a riscaldarci, a non farci morire dal freddo. A non farci morire. Così dicevano.
Pippo Zarrella, Io odio i gerani
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Dimmi, geranio del giardino
Sai dove se n’è andata l’anima?
Il corpo assente
e le mie mani non riescono a ricamare i suoi ricordi
Non so dove tu sia, anima mia
spero solo che tu vada di buon passo
Non parlare con l’usignolo
perderesti il volo nell’ombra
Non è ancora tempo
di incontrare l’albero dell’inizio.
Cristina Wolf
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È d’un lontano maggio
quello fiorito in foto
geranio fronte lago
a rallegrare il giorno.
Dispiace alle zanzare
che incubano le acque
ferme a più caldo sole
così che vanno altrove.
Tienilo al tuo balcone
vicino alla finestra
aperta a sere chiare.
Fiore d’umil fragranza
tien compagnia all’estate
e con bellezza danza.
M.Prenna
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Un geranio rosso pende dal balcone
guardando l’uomo correre nel giorno:
lo guarda, gli parla, lo ascolta
gettando i suoi petali al vento.
Solo un uccello si ferma a giocare
con la chiazza rossa nata nella notte.
Oggi i fiori nascono e muoiono
feriti da occhi indiscreti.
I raggi di sole
non sono gli stessi di ieri.
Un geranio rosso pende dal balcone
si spezza e cade.
Nessuno lo raccoglie, viene calpestato.
Un cane lo fiuta
gli strappa l’odore.
È morto anche oggi
un geranio rosso
nato per vivere la bellezza
poche ore.
Giuseppe Bartolomeo
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Cerchi un posto dove riposarti, dove sia sempre una domenica mattina di Maggio? Dove la musica accompagni in sottofondo il dondolio di un’amaca in giardino? Dove la luce sia quella delle scogliere sul mare a mezzogiorno, i colori quelli dei gerani sui balconi e l’odore più forte, tra una miscela che non si può descrivere, simile a quello del sale sulla pelle? Cerchi un posto dove ci sia tanta aria quanto una vallata d’alta montagna può contenerne, ma che sia nascosto come in fondo alla conchiglia più elaborata, e vago come i contorni di un’alba su un lago d’autunno? Cerchi un posto dove passare un’ora o una vita? Dove il tempo sia un cerchio senza inizio e senza fine, sempre uguale e sempre diverso? Dove si possa passeggiare e scoprire sempre nuovi angoli, o rimanere a guardare la stessa onda che va e viene ai tuoi piedi? Cerchi una terra che di notte non perda il suo calore? Che le piogge innaffiano senza bagnare? Che ti canti da lontano e ti culli senza chiederti niente in cambio? E che poi ti stupisca con le sue 100 stagioni, una per ogni umore e per ogni eta’ della vita, o che sia il più pieno dei niente, dove potersi abbandonare senza però mai perdersi completamente?
Questo posto è la mia fantasia. Un’isola che non c’è. Inutile prenotarsi, chi riuscira’ a partire in realtà è già arrivato. See you there…
Alessandro Marzi, Blogout
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Per otto anni ho camminato lungo i suoi vicoli fino in fondo, per le sue salite, le sue discese, le sue scale, scalette e scalinate, le sue funicolari rosse, le passeggiate, il mare.
È stato il vento però.
La sua aria salmastra, salata, pungente, continua, i pini marittimi, il clima…
Si. È stato il clima ad iniziarmi.
…So come cade la pioggia sui ciottoli di pietra delle scalinate, so come i genovesi si comportano sugli autobus e nei negozi, e hanno un modo tutto particolare, nei loro rituali, sono burberi, selvatici. So come sono fatti i loro volti, cosa contengono i loro armadi.
So che l’estate, ancora oggi, la vita diventa quasi agreste, coi vasi colmi di ruvidi gerani sui “poggioli”, e i gatti, quanti gatti, addormentati al sole.
Conosco Genova di giorno e di sera. So che è sempre viva.
È viva anche quando in giro non c’è più nessuno. I suoi muri, i suoi vicoli, la sua gente un po’ pettegola, la sua cantilena, la Lanterna.
E l’amo.
L’amo con quell’amore di chi si sa rifiutato. Io l’ho sempre amata, sempre seguita, sempre cercata, ma da spettatrice.
Io non le sono mai appartenuta veramente.
La città a cui appartengo è Milano, sicuramente, anche se non ci sono nata. Milano mi ha presa tra le braccia per guarirmi.
A Genova ho sempre sofferto, bene o male, e prima di tutto, mi ha sempre e solo regalato malattia.
Ma di questo non voglio parlare.
Non adesso.
Adesso è forse tardi.
Monica D’Ambrosio, Vent’anni son già troppi
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Capisco per la prima volta che cos’è un regalo.
Disegno il mondo attorno a me: mamma Santina e papà Sandro; Rosetta e le altre; il cane Friz e il gatto Ciccio; il treno che vedo passare tra gli orti e i canneti verso il lago, con la locomotiva nera e lo sbuffo che esce dal fumaiolo; le montagne verdi, il cielo azzurro e le nuvole bianche; i vasi di gerani allineati lungo la ringhiera del terrazzo; le galline, i tacchini e le oche giù nel cortile.
Alfredo Chiàppori , Franco Destino
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