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«Dammi oggi la mia indifferenza quotidiana…».
Márai Sándor * L’ ULTIMO DONO.
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Una lettera di mio fratello minore Gábor da Budapest. Sua moglie Tuci, insegnante di pianoforte, era stata allieva di Bartók, – è morta «inaspettatamente». Per i sopravvissuti, nei «casi di morte inaspettata» vi è sempre qualcosa di simile a un insulto. Lanciano un grido, fuori di sé, come se chiedessero quale indiscrezione sia mai questa!
Márai Sándor * L’ ULTIMO DONO.
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Mentre spengo la lampada: Babits. «Non è il cantore a generare il canto è il canto a generare il suo cantore». E proprio vero. Ricordo i momenti in cui quel che avevo da dire si metteva a sprizzare scintille.
Poi tutto cambiò da un giorno all’altro, il modo di vita, il ritmo di vita; la quotidianità e il lavoro procedevano contemporaneamente…
Nulla di ciò esiste più.
Márai Sándor * L’ ULTIMO DONO.
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L’ipotesi avanzata dagli studiosi di Shakespeare, secondo cui in segreto il poeta sarebbe stato un papista, non trova nessuna conferma all’interno dell’opera. Nel teatro di Shakespeare l’inferno esiste, ma si trova qui sulla terra. E non vi è traccia di escatologia. Secondo il poeta, l’inferno non si trova nelle viscere della terra ma in superficie, dentro casa, sul lavoro, nella società, nell’uomo. L’umanità non è una genia infernale, come si suol dire, bensì la creatrice dell’inferno. «Non posso dirlo a nessuno indi lo dico a ciascuno»…
Se non esiste nessuno a cui poter dire una certa cosa, è meglio non dirla affatto. Su «quella certa cosa» conviene tacere: su «quella certa cosa», ovvero su noi stessi.
Márai Sándor * L’ ULTIMO DONO.
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Non sono sano, sono molto stanco, può darsi che un verme mi stia rosicchiando dall’interno, o che la batteria cominci a esaurirsi.
Comunque mi attengo ancora alla breve passeggiata mattutina e a quella serale di tre quarti d’ora, il che mi aiuta a superare, alla meno peggio, un giorno dopo l’altro. La vicinanza della morte rafforza la coscienza più di quanto non la indebolisca.
Márai Sándor * L’ ULTIMO DONO.
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«Morte, accoglimi come tuo figlio». (Kosztolányi). Forse è meglio in quest’altro modo: «Morte, ti accolgo come mio padre».
Márai Sándor * L’ ULTIMO DONO.
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La nascita non è un’esperienza, giacché è accidentale, – si verifica e basta, senza alcuna intenzione. La morte è un’esperienza, perché si verifica anche andando contro le nostre intenzioni.
Márai Sándor * L’ ULTIMO DONO.
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«Ho compreso di non averti mai amato, la sola che io abbia amato è la mia passione»
Márai Sándor * L’ ULTIMO DONO.
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Hanno trapiantato il cuore di una scimmia in un neonato malato di cuore.
Per ora il bimbo è vivo. Darwin credeva che l’uomo discendesse dalla scimmia. Adesso l’esperimento si capovolge, l’uomo può trasformarsi in una scimmia.
Indirà Gandhi, primo ministro dell’India, è stata colpita a morte da due sue guardie del corpo. L’India è un Paese devoto. Le vacche sono sacre, è lecito sparare soltanto al primo ministro.
Non sono sano, qualche morbo mi corrode dall’interno: forse un cancro, come nel caso di mio padre, o forse è semplicemente la vecchiaia che succhia gli umori vitali… Il trapasso ha inizio nel momento in cui morire non ci sembra più un fatto impossibile. Per ottantaquattro anni, fino a oggi, non l’ho mai considerato possibile; e avevo ragione.
Márai Sándor * L’ ULTIMO DONO.
Un riflesso che si ripete: al risveglio, ancora un po’ insonnolito, allungo la mano – come ho sempre fatto per sessantadue anni e otto mesi – per stringere la sua. Quando non trovo nulla da stringere, l’orrore: dov’è? In soggiorno? Nella stanza da bagno? E’ caduta per terra?… A quel punto mi rendo conto che «non c’è», perché è morta. Questo è il momento del risveglio. Quel che segue, sempre più intimamente, è il disgusto. Il disgusto, perché lei non c’è. Perché è morta. Perché tutto ciò che preti, medici, persone di ogni sorta hanno blaterato nel corso dei tempi a proposito della morte sono semplici menzogne. Il fatto stesso della morte è disgustoso.
Márai Sándor * L’ ULTIMO DONO.
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Di continuo la sua voce, quando – dopo aver taciuto per diversi giorni – parlò e disse: «Ma quanto ci metto a morire…». In seguito non parlò più.
Márai Sándor * L’ ULTIMO DONO.
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Non scrivo, non leggo, ma a volte sogno che sto scrivendo qualcosa. In sogno le righe scorrono come quelle di un testo proiettato sullo schermo. E le righe hanno un senso, la scelta delle parole è corretta, la composizione è piena di vita. Non sono «io» a scrivere tutto ciò, è qualcosa che accade dentro di me. La via di ritorno dalla vita alla morte è oscura, brancolo dal nulla verso il nulla e lungo il percorso, ogni tanto, una parola, un concetto risplendono come lucciole nella buia foresta.
Márai Sándor * L’ ULTIMO DONO.
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Di mattina, telefonata dall’Europa. E’ morto mio fratello minore Géza.
Nel periodo immediatamente precedente e successivo alla morte di Lola, negli ultimi quattordici mesi, la vita per me si è svuotata: se n’è andata Lola, poco prima mia sorella Kató e mio fratello Gábor, adesso Géza. Di tutta la famiglia sono rimasto io – la retroguardia: tra i miei parenti stretti non è più vivo nessuno. Li seguo – loro che «non sono andati via, sono soltanto andati avanti» – in fila indiana. Tutto ciò è sopraggiunto come un’epidemia. Infatti lo è, il tempo è un’epidemia…
Márai Sándor * L’ ULTIMO DONO.
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Quel rigo di Shakespeare. «Perché quali sogni verranno mai nella morte…». I sogni spaventosi esistono già nella vita. Ogni tanto ho paura di addormentarmi
Márai Sándor * L’ ULTIMO DONO.
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La vecchiaia. Occorre decidere cosa debba farsene l’uomo vecchio della solitudine. Cos’è più giusto: essere soli restandosene da soli oppure essere soli in compagnia? Io vivo ormai da più di un anno in una solitudine che coincide con lo starmene da solo. Non è facile, non è neanche «vita», tuttavia è più tollerabile della solitudine vissuta in compagnia
Márai Sándor * L’ ULTIMO DONO.
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Erano in molti a volergli bene: in occasione della messa funebre più di cento persone hanno sottoscritto l’albo dedicato al suo ricordo.
Per quanto mi riguarda, è come se mi avessero colpito con un pugno nello stomaco: un insulto. Le fiabe che si narrano sulla morte – tutte menzogne. La realtà è un insulto, negarlo è un inganno. Detesto i preti, le fiabe narrate dalle religioni. Andarmene in pace, senza inganni e autoinganni penosi. Ormai non ho più nessuno. Quest’uomo era l’ultima «persona» per me. Non voglio più scrivere. E neanche vivere, ma soltanto andarmene in pace. Sarebbe un grande dono non svegliarmi più.
Attimi in cui è come se una bestia impazzita ululasse nel buio. L’attimo in cui alla fine di una lunga vita si capisce che il destino non è semplicemente crudele, ma anche disonesto.
Márai Sándor * L’ ULTIMO DONO.
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Un attore, all’età di ottantuno anni, è morto al mattino, nel sonno. Per la prima volta da parecchio tempo sono sinceramente invidioso.
Márai Sándor * L’ ULTIMO DONO.
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Vivo completamente solo, dunque non mi annoio. «Paura della morte». Temo che la morte sia noiosa.
Márai Sándor * L’ ULTIMO DONO.
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toccarla con mano. L’odore di morte si sprigiona ormai anche dai capi di abbigliamento. Scrivere il Roger. Come un debito d’onore da saldare. L’insieme, nonostante tutti gli orrori e le mostruosità, è stato comunque meraviglioso. Ma ormai mi vergogno di scrivere.
Márai Sándor * L’ ULTIMO DONO.
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