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Sono una donna realizzata. Tutte le sere, prima di buttarmi sfinita sul letto, mi guardo allo specchio e poiché ho passato i trent’anni mi
sembra sempre di vedere una ruga in più. Molte, come me, hanno tante cose; altre hanno tutto: lavoro, marito, figli piccoli o che già vanno a scuola, la casa e magari la seconda casa al mare.
Lavoro, bado alla casa e alla famiglia, leggo libri e giornali, guardo la Tv, vado in palestra, faccio qualche viaggio.
Ho anche amiche che m’invidiano, ma sono stanca, con le ossa rotte, il sonno sempre arretrato e la sensazione, spesso, di non farcela più.
Eppure non tornerei al destino delle nostre madri
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Tre mesi estivi, lenti e grevi, durante i quali la vita di Giulia fu un rosario di giorni pazienti che lei sgranava in attesa di qualcosa che forse non sarebbe arrivato ma che aspettava ugualmente: uno sprazzo di luce, di significato.
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La supplicai di avere pazienza, a volte una coppia non riesce a fare un figlio per anni e poi, d’improvviso, il figlio piove dal cielo quando uno meno se l’aspetta. Lei non sentiva ragioni e obiettava: “Devo aspettare magari fino a quarantanni per avere un bambino?” In breve, mi sono fatto coinvolgere in una serie di visite e di esami, ho subito situazioni mortificanti delle quali non riesco a parlare perché non voglio ricordarle, una ricerca che è andata avanti mesi e mesi con tentativi che riducevano l’atto d’amore a una copula forzata, e io stesso, alla fine, io stesso ero ossessionato dall’idea di diventare padre a ogni costo.» Padre ad ogni costo. E che costo. Ferdinando parlava con una così visibile sofferenza che le parole sembravano scorticargli la pelle a una a una. Doveva, doveva suo malgrado, ricordare l’incubo degli spermigrammi, quelle indagini che servivano a verificare la quantità di spermatozoi nel liquido seminale. Nel suo caso, una presenza scarsissima.
Ma Adele non si scoraggiava, si sottoponeva imperterrita a delle cure che la riempivano di ormoni, ricominciava caparbia dopo ogni scacco, ogni delusione.
«Per lei non esistevo più io; la mia sofferenza, la mia umiliazione erano un prezzo da pagare del quale non teneva conto.» Ferdinando continuò a parlare, ricordare, persino a imprecare come se dentro di lui si stesse rompendo una diga resistente e dolorosa. Giulia ascoltava seduta in disparte, lasciava che le immagini e le emozioni occupassero tutta la scena.
«Tu non hai idea di come un uomo si può sentire: un robot, o un animale da monta. A un certo punto che te ne importa più dell’amore? La sessualità, il desiderio… spariscono, perché sopravviene la rabbia. Una rabbia senza scopo, contro chi? Contro di lei? No. Maledizione, contro me stesso.
Chi era l’uomo, anzi il maschio dimezzato? Ho battuto la testa contro questa realtà, ho dovuto rendermi conto che un uomo sterile non è all’altezza degli altri uomini. Gli altri possono essere stupidi o balordi, ma lui non può procreare.
E allora che ci sta a fare al mondo? Questo mi dicevano gli sguardi frustrati di Adele: “Che marito sei che non mi fai fare un figlio?” A quel punto ho provato l’impulso irresistibile di scappare, di sparire, persino di non esistere più. Ho accettato un ingaggio in Marocco, per salvarmi. Volevo guardare il mio matrimonio, se esisteva ancora, da lontano.» Dopo una pausa Ferdinando scosse la testa con un sorriso beffardo. «Ma la vita è proprio una lotteria, Giulia.
Mentre ero là, tante volte mi sono trovato a pensare, a vagheggiare come sarebbe stato avere un figlio, quali dei miei geni sarebbero stati portati dal mio seme a una nuova vita.
Mi sono concentrato sul misterioso momento in cui un nuovo essere inizia. Pensaci, Giulia: trecento milioni di semi maschili tutti in corsa per fecondare una sola cellula uovo.
La maggior parte è eliminata subito perché non ce la fa, altri cadono durante la corsa, due qualsiasi si contendono il traguardo sul rettilineo. Come in una corsa in bicicletta. E basta un niente perché all’ultimo secondo uno tagli la strada all’altro e arrivi al traguardo. E nasce un bambino diverso da quello che sarebbe nato se l’altro fosse arrivato primo. Ti rendi conto di quanto siamo in balia del caso?» «No, non credo», obiettò lei turbata. «Non credo che Dio giochi a dadi con noi.» «Comunque», concluse Ferdinando, «i portatori dei miei geni erano così pochi che non arrivavano mai.» «Non avete pensato a un’adozione?» domandò Giulia dopo un lungo silenzio.
«Tu non puoi far ragionare una donna che vuole visceralmente diventare madre. E io, io mi sentivo tanto in colpa che non trovavo né forza né argomenti. Non volevo nemmeno più dormire nel suo letto.» «Quanto sei rimasto lontano?» «Un bel po’ di mesi. Forse troppi. E
quando sono tornato lei era incinta. Ovviamente il padre non ero io.» «E cos’è successo?» «Che cosa poteva succedere? Lei voleva andare a vivere col padre del bambino. Ci siamo separati consensualmente.
[…] «L’hai lasciata andare», constatò Giulia.
«Che cosa potevo fare? Il mondo era pieno di maschi pronti ad accontentarla, e non ci ha messo molto a sceglierne uno. Ormai aveva il figlio e giustamente voleva un padre per quel bambino»
***
In tutti questi anni non sono stato senza donne. Non c’era bisogno di parlare o di promettere. Te l’ho detto: di solito mi bastava andare in un bar o da qualche parte, e trovavo sempre.
Bevevamo qualche cosa e poi dicevo: “Andiamo?” Senza problemi».
«Lo so», confermò Giulia fissandolo e affrontando con lui il ricordo di quel loro unico incontro, «ma adesso mi stai dicendo qualcosa di diverso.» Ferdinando trovò le parole nel momento in cui il suo viso si distese e il suo corpo, contratto da quando aveva cominciato a parlare, si lasciò andare, stanco, nella poltrona.
«Lo so, Giulia: ti sto dicendo che ti amo. Ma questo cambia tutto e non cambia niente.»
Com’era lucido, e disperato: Cambia tutto e non cambia niente. Giulia si sentì inerme, sopraffatta da una debolezza anch’essa disperata, capace di dire soltanto: «Anch’io mi sono innamorata di te».
«E allora è anche peggio. Mi dispiace.» «Ferdinando…» Gli sorrise timidamente. «Non puoi darmi qualche attimo di tregua?» «Lo vedi? Era meglio che non parlassi.» «Ma tu ne avevi bisogno! Volevi capire come ti avrei guardato… adesso. E io ti dico: come prima. Sei un uomo che mi piace, sei un amico, un amico difficile, ma ho desiderato molto fare l’amore con te. Non vado oltre, Ferdinando.» «Giusto. Non c’è un oltre.» Giulia negò lentamente, col capo: «Chi può dirlo? Il problema non siamo tu e io. Il problema sei tu con te stesso. Te la sei data tu questa condanna senza appello».
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