Melissa.24
Ce, me la cavo, cerco di star bene. Da quando non ci sei più, da quando quel poco che mi davi non c’è più, non va mica tanto bene. Mi manchi, la mattina appena sveglia, mentre aspetto il tram, mentre attraverso e spero di trovarti lì, sorridente, bello bello, bello come il sole. Mi manchi fuori al bar, mentre aspetto invano qualcosa di te, un tuo gesto, le tue solite cose dolci. Il tuo buongiorno, la tua buonanotte. Sembravano volermi dire che la mattina appena sveglio e la sera, prima di chiudere i tuoi magnifici occhi, tu, pensavi a me.
E allora come stai? Intendo dire come stai senza me, senza quel poco di me. Io sinceramente sto male. Anche se non vorrei, anche se…
I giorni passano uguali, nella stessa lentezza in cui tu cammini, passeggi nella mente mia. E mi manchi. Non m’importa se ora c’è lei, se ogni istante immagino il suo corpo sul tuo e impazzisco, nel momento che le entri dentro, nel modo in cui lei gode e tu sei il suo piacere, l’effetto, la causa. E impazzisco, impazzisco di nuovo. Non do tregua all’immaginazione. E stai bene? Che fai? Ci pensi? La pensi? Mi manchi, anche ora che lo scrivo, mi sento una stupida, di nuovo. Mi nascondo sempre dietro le parole, le paranoie. Tu comunque continuerai a mancarmi. Tu stanotte dormirai con lei, io non dormirò affatto… Succede.
Si soffre ridendo. Ridendo con gli amici al bar, parlando al telefono o chiacchierando con uno sconosciuto alla fermata dell’autobus. Si soffre con l’anima in mano, sforzando le labbra a mettersi in una posizione corretta e credibile dinanzi alla felicità.
E non lo sapranno, loro. Non sapranno che stai male dentro, che cambi ogni momento, ogni cosa è diversa, che il nero che ora colora i tuoi capelli è il nero che hai dentro, che scendi una fermata prima del solito con la speranza di vederlo, almeno un secondo, seduto li. Che al tavolino ti siedi con il viso rivolto alla strada, che senti ma non ascolti, che fingi, non hai un minimo di interesse, che ti trovi in un ristorante o al Mc Donald non t’importa, non t’importa manco cosa mangi. E rivedi film, riascolti canzoni, rileggi libri e in essi ci trovi lui. Ogni parola, ogni lettera, in ogni frase. E cerchi di rimettere i pezzi insieme, ma sono cosi tanti ‘sti pezzi che non riusciranno a ricomporti, a meno che con qualcosa in più. Non sarai tu, non come prima. Il telefono squilla, la voglia non c’è, la speranza è vana. Il suo nome non comparirà sul telefono, tanto meno non vedrai lui sotto al tuo palazzo. Comunque sei stata tu a scrivere la parola ‘Vaffanculo’ sull’ultima pagina di questa storia. Le lacrime e le parole e le ore a letto non serviranno a molto.
Fini tutto dopo un anno, tipo come quelle scene da film.
‘Vattene a fanculo’ ti dissi. In realtà, forse, incosciamente, non volevo. In realtà volevo dirti che mi piacevi, che volevo ritornare a guardarti negli occhi come tempo prima, che volevo smetterla di guarda e fissare il vuoto in occhi sconosciuti, di assaporare lingue diverse, volevo di nuovo tornare a parlarti per ore, volevo ritornare a toccarti i capelli, quei ricci che sapevano di mare, di infinito. Volevo ritornare a baciarti in posti sconosciuti, posti proibiti.
E nessuno, ora come ora, può capirmi. Per quanto io cerchi di essere diretta, chiara e sincera, non ci riesco. Solo io posso sapere.
‘Vattene a fanculo’ ti dissi. In realtà non volevo.
Ti amo sarebbe stata la risposta a tutto.