anna pianura
tu sei …
non sei più quel che eri un tempo
e ora sei quel che c’è
…di diverso da me.
Sei quello che vedo: sei un riflesso che non m’appartiene!
non mi riconosco!
non mi resi conto di quanto restassi negli occhi,
sul viso,
nell’aria c’è …
una parte di te e ho capito che ….
se mi rifletto guardandomi in viso non mi riconosco !
ma poi un bel sorriso mi taglia la faccia
e mi dico: “sono identico a te ”
….ehi vuoi cambiarmi…?
[NEGRAMARO * SEI]
Non ho mai saputo in che cosa consista la somiglianza in un ritratto. Si può vedere se c’è o se non c’è, ma resta un mistero. Per esempio, le fotografie non hanno mai una «somiglianza». Di una fotografia non ce lo si chiede neanche. La somiglianza ha ben poco a che fare con i lineamenti o le proporzioni. Forse nasce da ciò che un disegno riceve, se due mire si incontrano come la punta di due dita.
JOHN BERGER, FOTOCOPIE
FOTOGRAFARE E’ PREMERE UN GRILLETTO, ABBASSARE IL DITO AL MOMENTO GIUSTO
La fotografia non mi interessa più.
Se fosse un animale, penso che sarebbe una lepre; è sempre sul punto di scappar via. Non prendendo il volo. Non con una battuta di spirito. Ma casualmente, per il gusto di farlo. Invece di orecchie, a portargli notizia di tutto, ha occhi. Occhi divertiti.
– La sola cosa della fotografia che mi interessa – dice – è la mira, prendere la mira.
– Come un tiratore scelto?
– Conosce il trattato buddhista zen sul tiro con l’arco? George Braque me lo diede nel ’43.
– Temo di no.
– È uno stato dell’essere, una questione di apertura, di dimenticanza di se stessi.
– Non si mira alla cieca?
– No, c’è la geometria. Cambi posizione di un millimetro e la geometria muta.
– Ciò che lei chiama geometria è estetica?
– Nient’affatto. È come ciò che matematici e fisici chiamano eleganza, quando discutono di una teoria. Se un approccio è elegante forse sta avvicinandosi al vero.
– E la geometria?
– La geometria entra in scena per via della sezione aurea. Ma i calcoli non servono. Come diceva Cézanne: «Quando comincio a pensare, tutto è perduto». Quel che conta in una foto sono la sua pienezza e la sua semplicità.
Noto la piccola macchina fotografica sul tavolo accanto a lui, a portata di mano.
– Ho smesso di fotografare vent’anni fa – dice – per tornare a dipingere e soprattutto a disegnare. Eppure continuano a farmi domande sulla fotografia. Qualche tempo fa mi hanno offerto un premio per la mia «creativa carriera di fotografo». Ho detto che non credevo in una carriera simile. Fotografare è premere un grilletto, abbassare il dito al momento giusto.
Imita il gesto in modo scherzoso, proprio a un palmo dal suo naso. E, mentre rido, ripenso alla tradizione buddhista zen di insegnare scherzando, di rifiutare tutto ciò che è ponderoso.
– Nulla va perso – dice -, quel che hai visto rimane con te per sempre.
JOHN BERGER, FOTOCOPIE
Anche un piccolo particolare a volte
è capace di regalarti momenti indelebili.
Un gesto inaspettato
un sorriso, una carezza
…una telefonata.
Sono le piccole cose
che riempiono la vita
di buoni motivi per tirare avanti..
I grandi eventi sono quelli
che riempiono i libri di storia.
Io non cerco il momento epico,
voglio lo stupore…
piccolissimo, ma costante
Anna Pianura
Sangue. Il buco è riaperto.
Questo è l’odore che parla di me da quando sono nato.
In una foto che ho adesso nitidamente negli occhi, ma che stava nel salotto dei miei, sigillato con il cellofan, avevo poco più di di qualche ora di vita e mio padre mi mostrava al mondo, fiero, tenendomi in braccio in malomodo, come un pezzo d’animale.
Il suo sorriso tra la bocca e i baffoni è identico.
Da qualche parte in casa ho le foto dei suoi primi macelli. Come trofei alzati in aria per i piedi, li esponedavanti a chi lo fotografava con la stessa identica fierezza con cui mostrava la mia nascita.
Ero io.
Come i suoi agnellini, un pezzo di carne la cui vita o morte dipendeva esclusivamente da lui. L’odore del suo camice sporco sarebbe stato il mio.
Non mi sarei dovuto illudere.
Sono io quell’odore.
GIULIANO SANGIORGI, LO SPACCIATORE DI CARNE
Io, il niente di niente.
Il niente che non ha odore e non ne avverte alcuno.
Per trovarmi devi seguire la sottile linea di confine che vibra più forte al suon di tromba del giorno appena cominciato e già così pieno nelle narici.
La mia stanza è al centro.
Quale posto migliore per un essere trasparente come me?
Questo penso di me.
[…]
Credo che sia difficile accorgersi di me senza ricorrere a un atto di nascita o morte.
Esisto! Lo so per certo se mi guardo nei sorrisi delle foto degli altri.
Sono […] in alto a sinistra con la faccia che non si fa spazio perchè non si sporge.
[…] che in un film lungo una vita avrebbe la leggerezza di una comparsa eterna.
Riempio allo stesso modo il quadro dei miei giorni e di quelli altrui.
[..]
Io non sono come mio Padre
Io non sono come mia Madre
Io non sono come mia Sorella […]
Io non sono!
Non saprei dire “io sono”.
La negazione è una bella invenzione del tempo e credo che abbiano pensato a me prima di crearla.
Lasciami conoscere chi sei e ti dirò chi NON sono.
Giuliano Sangiorgi, Lo spacciatore di carne
Desiderare è la cosa piú semplice e umana che ci sia. Perché, allora, proprio i nostri desideri sono per noi inconfessabili, perché ci è cosí difficile portarli alla parola? Cosí difficile che finiamo col tenerli nascosti, costruiamo per essi in noi da qualche parte una cripta, dove rimangono imbalsamati, in attesa.
Non possiamo portare al linguaggio i nostri desideri, perché li abbiamo immaginati. La cripta contiene in realtà soltanto delle immagini, come un libro di figure per bambini che non sanno ancora leggere, come le images d’Epinal di un popolo analfabeta. Il corpo dei desideri è una immagine. E ciò che è inconfessabile nel desiderio, è l’immagine che ce ne siamo fatta.
Comunicare a qualcuno i propri desideri senza le immagini è brutale. Comunicargli le proprie immagini senza i desideri è stucchevole (come raccontare i sogni o i viaggi). Ma facile, in entrambi i casi. Comunicare i desideri immaginati e le immagini desiderate è il compito più arduo. Per questo lo rimandiamo. Fino al momento in cui cominciamo a capire che rimarrà per sempre inevaso. E che quel desiderio inconfessato siamo noi stessi, per sempre prigionieri nella cripta.
GIORGIO AGABEN – Profanazioni