Come in tante situazioni, cercare il senso di una parola può voler dire scoprire quante altre parole sono racchiuse in essa. Ed è così anche per il termine adozione. Adottare contiene due parole latine: “ad” che vuol dire per; e “optare” che vuol dire scegliere. Scegliere per: per sé, per altri, per crescere insieme. E il termine è ancora da esplorare comprendendo che nella operazione di adottare c’è il muoversi, muoversi verso: verso qualcuno, verso una storia, verso un orizzonte. E c’è anche il capire. Significa incontrare, mettere in azione una conoscenza che non è semplicemente guardarsi, è anche andare oltre lo sguardo e mettere insieme tanti elementi che non si trovano in un istante: hanno bisogno del tempo, di una lunga strada, di un percorso.
Adozione è questo e altro ancora. Ma se la prima parola contenuta è quella dello scegliere, dobbiamo anche riflettere su quanto questo termine rischi di essere strapazzato dal consumismo, perché la scelta si fa guardando un catalogo di prodotti, guardando un banco di oggetti e dicendo: «Questo fa per me!», «Questo me lo posso permettere», «Per questo posso anche fare un debito, tanto poi quello che prendo è mio!». E dal momento che dico che è mio ne posso fare quello che voglio.
La parola “scelta” è quindi sottoposta a questa forte influenza di un mercato che si vuole liberalizzato, vale a dire non schiavo, non sottoposto a molte regole. L’adozione, se così fosse, rischierebbe di diventare una sorta di conquista di una piccola proprietà e quindi di far diventare un soggetto padrone e l’altro sua proprietà. La scelta, così espressa, troverebbe inutili i vincoli relativi alla regolamentazione dell’adozione perché sarebbe guidata da una pretesa di amore che è capace di superare tutte le regole. La scelta – ancora – diventerebbe un affare privato, un punto di non ritorno della volontà di una coppia, di una famiglia, di alcuni individui. Di non ritorno apparente e forse provvisorio perché, dal momento che fosse un affare privato, questa scelta potrebbe anche giustificarsi nel tornare sulle proprie decisioni e nel rimettere l’oggetto che si è fatto proprio là dove era stato trovato.
Ma l’adozione non è questa scelta. L’adozione può rappresentare davvero uno degli elementi più interessanti e importanti per capire quanto la nostra vita debba avere una collocazione sociale e non possa autodeterminarsi con una libertà che rischia di essere solo di un soggetto contro la libertà degli altri soggetti. Intanto c’è da domandarsi se una parola che contiene tante e così importanti altre parole possa essere affare di un individuo solo. O se non richieda un intreccio di individui, e quindi un percorso ben organizzato, con compiti precisi per ciascuno.
Sono solito, per ragionare su simili temi, fare riferimento al linguaggio. Quando nasce un bambino o una bambina entra in un contesto, in una comunità di persone che hanno già un linguaggio che ha regole, convenzioni e possibilità di essere accolto e utilizzato con una intenzionalità del tutto originale da ognuno dei soggetti, a patto che il suo utilizzo avvenga secondo le convenzioni e le regole. Chi nasce entra in un linguaggio fatto di grammatica e sintassi, di regole, di parole che sono già codificate, che possono essere reinvestite dalla creatività di ciascuno. Proprio come tale, la creatività è il dare un senso nuovo a qualcosa che è già codificato. Non sarebbe immaginabile una creatività che avvenisse in un contesto linguistico privo di regole e di convenzioni.
Questa indicazione relativa al linguaggio permette anche di capire che cosa vuol dire libertà. Non è la libertà di inventare soggettivamente una lingua totalmente nuova, ma di dare un significato originale alla lingua che ha le regole accettate dalla comunità che la utilizza. E, quindi, entrare ed accettare dei vincoli per poter godere di una libertà.
L’adozione percorre lo stesso itinerario in maniera ancora più profonda. Non quindi una scelta che fa diventare proprietari di un oggetto. Quando si dice che una persona è padrona del linguaggio, si intende che sa usare così bene le regole linguistiche, da poter dare il proprio senso originale a ciò che dice o scrive. Così è per l’adozione: è una scelta in un contesto regolato, per mettere nella propria vita un nuovo soggetto e conoscerlo sviluppando un percorso insieme, camminando insieme.
ANDREA CANVARO, dal libro SIAMO TUTTI FIGLI ADOTTIVI di Luisa Alloero