Non c’è giorno che lui non pensi ai capelli. A tagliarli molto o poco, a tagliarli subito, a lasciarli crescere, a non tagliarli più, a farsi rapare a zero, a radersi la testa per sempre. La soluzione definitiva non esiste. È condannato a tornare incessantemente sulla questione. Sempre così, schiavo dei capelli, finché crepa, magari. E perfino dopo. Non ha forse letto che… che i capelli crescono anche… o erano le unghie?
Una volta, d’estate, per sfuggire al caldo – sono le quattro del pomeriggio e in strada non c’è quasi nessuno – si infila in un negozio di parrucchiere deserto. Si fa lavare i capelli. Se ne sta a faccia in su, la nuca appoggiata nell’incavo di plastica. La posizione è scomodissima, ha male alla cervicale e un po’ lo inquieta la leggerezza con cui la sua carotide sembra offrirsi alla lama del primo tagliagole di passaggio, ma la frizione dei polpastrelli, la dolce nuvola di profumo vegetale che esala dalla schiuma e la pressione dei getti d’acqua tiepida lo stordiscono, trasportandolo gradualmente in una specie di dormiveglia. Non tarda ad addormentarsi. La prima cosa che vede nel riaprire gli occhi, così vicina da apparirgli sfocata, come dipinta su una superficie di sabbie mobili, è il viso della ragazza che gli lava la testa, chino su di lui, capovolto, la fronte sospesa sopra la sua bocca. Che cosa sta facendo? Lo annusa? Vuole baciarlo? Rimane immobile, la sorveglia con occhi ciechi finché, dopo attimi di concentrazione in cui smette addirittura di respirare, la ragazza intercetta con un’unghia affilata il rivolo ribelle di shampoo che stava per finirgli in un occhio. Ora che è sveglio, non riesce più a ricordare, neanche provandoci, come fosse quel viso dieci minuti prima, quando è entrato nel salone, e la ragazza certamente gli è andata incontro per domandargli: «Li vuoi lavare?» Adesso ce l’ha così vicina che non sarebbe capace di descriverla. Potrebbe innamorarsi. In verità non saprebbe dire se non si sia già innamorato, riaprendo gli occhi e scoprendo quel volto quasi incollato al suo, gigantesco, un po’ come quando al cinema si addormenta per qualche secondo e svegliandosi si consegna alla magia, sempre infallibile, della prima cosa che vede sullo schermo.
Alan Pauls* Storia dei capelli
***
Perché c’è una questione che viene prima, ed è questa: come mai proprio lui, che è un caso patologico, come mai lui, con il problema che ha, continua ad andare da parrucchieri dove non è mai entrato prima? Come mai persevera nello sfidare la morte in questo modo? Eppure è così: persevera. Non può farne a meno. È la legge dei capelli. Ogni negozio di parrucchiere che non conosce e nel quale si avventura rappresenta un pericolo e una speranza, una promessa e una trappola. Potrebbe sbagliare e precipitare nel disastro, però, e se fosse il contrario? E se finalmente trovasse il genio che cerca? E se per paura non entrasse e mancasse quell’unica occasione? È un passo temerario, che in genere non compie senza garanzie o senza avere esaurito dentro di sé una lunga serie di dibattiti sterili. Questa volta, a differenza di altre, non conosce quel parrucchiere neppure di nome, nessuno glielo ha consigliato, non ha letto niente su giornali o riviste, il salone non l’ha neppure attirato per l’aspetto, del quale difficilmente saprebbe dire qualcosa, tanto è obnubilato dall’incandescenza del pomeriggio estivo. Ha visto dal marciapiede opposto gli specchi, le poltrone, la luce dei tubi al neon, un’aria generale di pulizia che associa automaticamente all’idea di fresco, ha attraversato la strada, è entrato. E il negozio è deserto. Il colmo. Cos’altro aspetta per capire che è perduto, che prima ancora che qualcuno lo faccia accomodare davanti allo specchio, lo copra con quello stupido sudario di plastica, lo metta di fronte al dilemma più inutile e insolubile, deve infilarci le braccia oppure no?, e gli domandi come vuole tagliarli la sua sorte è segnata, non ha più alcuna chance? Fin da piccolo gli hanno spiegato che non si entra in un locale vuoto. Mai in un ristorante, meno che mai da un parrucchiere. Più tardi, quando tutto sarà finito e si ritroverà nel caldo di fuori con almeno un mese, un mese e mezzo di obbrobrio inenarrabile scolpito sulla testa, chi gli crederà quando si giustificherà dicendo che è entrato per colpa del caldo, che solo un grave stato di emergenza spiega un atto così irragionevole da parte di uno come lui, irragionevole sotto molti aspetti ma certo non per quanto concerne i capelli, che gli tolgono il sonno da… da quando esattamente? Da quand’è che i capelli lo ossessionano, lo tormentano, lo rodono?
Non saprebbe dirlo. C’è un momento nella sua vita in cui comincia a pensare ai capelli come altri pensano alla morte. Non è che, di punto in bianco, ah, già, i capelli! Non scopre all’improvviso una cosa di cui ignorava l’esistenza. Ha sempre saputo che i capelli sono lì, da qualche parte, in agguato, ma è sempre riuscito a vivere senza pensarci, come se non esistessero. Non è un’esperienza, quella che scopre, ma una dimensione; non una cosa che fino ad allora non avesse fatto parte della sua vita, ma qualcosa che da sempre era dentro di lui a roderlo in silenzio, con la pazienza di un ruminante, in attesa del momento giusto per destarsi e dare i primi segni di vita visibile. La morte è l’esempio classico. Si sa che «c’è la morte» come si sa che il destino di ogni corpo è cadere o che l’acqua si trasforma in vapore a una data temperatura. È una cosa che si dà per scontata: una certezza invisibile, assunta giornalmente a dosi così infinitesime che perde consistenza, si confonde nel continuum della vita e finisce per non dare pensieri. Per anni. Finché all’improvviso compare e reclama quel che le spetta.
Alan Pauls* Storia dei capelli
***
Mi tradisci con una donna calva, non ho trovato nessun capello sulla tua giacca.
Groucho Marx
***
L’unica cosa che arresta la caduta dei capelli è il pavimento.
Maurizio Costanzo
***
Per favore, non mi chiedere dei capelli eh? Non so perché li porto così. Ma non li taglio: sono più famosi di me.
Marco Simoncelli
***
Quando non si hanno più capelli, si trovano ridicoli i capelli lunghi.
Paul Léautaud
***
Le donne… Sai cosa ti dico? Chi le ha create… Dio deve essere proprio un genio. I capelli, i capelli sono tutto, lo sai? Hai mai affondato il naso in una montagna di capelli sognando di addormentartici sopra?
Frank Slade * Scent of woman
***
I giovani di oggi sono davvero terribili. Non hanno il benché minimo rispetto per i capelli tinti.
Oscar Wilde
***
Desideravo vederti:
desidero la fantasia dei tuoi capelli
a inaugurare grida
di libertà in ore troppo lente; la rivolta
dei tuoi polsi terrestri
che muovono inizi di bandiere,
e accusano l’indugio, la disperazione
cauta, il tempo.
Mi occorre l’urlo d’uno sguardo
ed oltre la violenza del tuo esistere
io esigo il gesto d’un tuo riso.
Giorgio Manganelli
***
I capelli sono la prima cosa. E denti la seconda. Capelli e denti. Un uomo che ha queste due cose, ha tutto.
James Brown
***
I capelli di una donna sono il termometro della sua anima. Quando una purilla sta male, cosa fa? Va dal parrucchiere. Prima ancora che dall’analista. Mette quel che ha di più vuoto tra le mani del coiffeur e si abbandona fiduciosa. E magari, all’improvviso l’incoscienza, gli dice la fatidica frase: «Fai tu».
Luciana Littizzetto, Sola come un gambo di sedano
***