Ogni madre ama il proprio bambino,
ma solo le madri che amano davvero riescono a liberare i propri figli al proprio destino. Qualsiasi esso sia.
Francesco Patera
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Quale amore è più forte, intenso, autentico, carnale, di quello di una mamma per il suo bambino?
Dovremmo amare sempre il prossimo in questo modo, incondizionatamente.
Anton Vanligt
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Le madri di Plaza de Mayo costituiscono un esempio straordinario non solo di coraggio, umanità e libertà, ma anche di grandioso e razionale realismo politico, come documentano l’avvincente libro di Daniela Padoan, Le pazze. Un incontro con le madri di Plaza de Mayo, e altre testimonianze della loro vicenda. L’esempio di una «follia» che è chiara, intrepida e amorosa intelligenza delle cose, posta al servizio dell’universale umano. Dopo il golpe del 24 marzo 1976, che instaurò la dittatura militare in Argentina, veri e presunti oppositori – circa trentamila – vennero fatti sparire, talora insieme agli avvocati che li assistevano, in un’orgia di criminalità e nell’eclissi di ogni certezza del diritto, che colpiva pure persone inizialmente non avverse a un governo autoritario. La storia di quelle infamie, di quelle torture, di quelle eliminazioni, di quelle complicità con gli aguzzini è nota ed era stata denunciata allora, con particolare forza, da Giangiacomo Foà sul «Corriere». […]
Tutto questo è storia, nota anche se rimossa o scordata. La resistenza delle madri non nasce quale movimento politico, bensì da un’elementare universalità umana; si tratta di donne di diversa estrazione sociale, ma perlopiù modesta, cresciute e formatesi tradizionalmente nei valori famigliari, nel rispetto dell’autorità e nel desiderio di un normale ordine sociale che permetta una normale vita quotidiana. Quando i loro figli iniziano a sparire, in un’assenza e in un’incertezza più angosciose della morte, il loro amore materno non si piega e non si rassegna; non si limita alle lacrime ma trova gli artigli ed esse iniziano la loro ricerca, la loro lotta indomabile. Come Antigone , si ribellano alla legge iniqua (o meglio alla selvaggia anarchia, perché ogni violenta tirannide è caos e disordine) che nega i fondamentali valori umani.
Nelle testimonianze – e, prima ancora, nella prassi – di queste donne la maternità non rimane allo stadio di strazio viscerale, di lutto privato. Queste donne scoprono che la loro tragedia personale è un tassello di una criminale tragedia collettiva; che non solo il figlio dell’una o dell’altra, ma migliaia di persone sono state fatte delittuosamente sparire. L’immediato sentimento materno si universalizza, diviene chiaro concetto della responsabilità più generale. Ognuno di quegli scomparsi diventa allora il loro figlio, così come ogni vittima è realmente il fratello di ognuno di noi, perché sempre si tratta del nostro destino comune e tanto peggio per chi, prigioniero di un’ottusa aridità o di una sentimentalità posticcia, non se ne accorge e non si accorge dunque di lavorare alla propria rovina. Quando si è portato un figlio in grembo – dice una delle madri, Hebe de Bonafini – lo si porta per sempre. Queste donne non la danno vinta alla morte, smontano la sua falsa aureola di potenza invincibile; i loro figli – ripetono – sono vivi, continuano a far parte della storia del mondo e quei trentamila sono tutti figli di ognuna di loro.
Claudio Magris, La storia non è finita
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– Si mette alla prova chi si ama.
– No. Si protegge chi si ama.
– Quello è amore materno
Amélie Nothomb , Barbablù