Di fronte alla fotografia può sembrare di essere, o di sentirsi divisi tra due fronti principali che si potrebbero riassumere con due esempi:
il primo con la famosa immagine di Robert Capa delle donne che cercano notizia dei loro cari scomparsi in guerra mostrandone la fotografia ai reduci, con tutta l’emozione che carica questo effetto di realtà che la fotografia ha sempre avuto e ha sempre significato, e d’altro canto, con l’implicazione inevitabile della scomparsa, rapporto con la morte e il passato che non può non comportare; il secondo con un’osservazione che Alberto Giacometti amava ripetere, che diceva che lo avevano sempre sorpreso gli artisti astrattisti che ti mostrano la fotografia dei loro figli! Lui, Giacometti, che astrattista non era, nelle fotografie non vedeva più la “somiglianza” con ciò che rappresentano, ma soltanto macchie bianche e nere sparse su un supporto di carta: l’unicità della fotografia legata all’individualità del rappresentato si contrapporrebbe così alla sua invisibilità, irriconoscibilità totale. Oppure ancora si può prendere la fotografia come oggetto nostalgico e melanconico per eccellenza. Con il suo particolare rapporto con il tempo passato e trascorso per sempre ma trasformato in immagine, con il suo senso della perdita, del vuoto, e insieme del possesso intimo e dell’impulso alla sostituzione, pretesa di esaustività, di archiviazione totale, o, al contrario, come luogo dell’abiezione e della depravazione più profonda e radicale, come non esita a scrivere Thomas Bernard, per il quale la fotografia mostra solo l’istante grottesco e comico, falsificazione completa e mostruosa della natura, della realtà e dell’uomo.
In realtà le posizioni possibili di fronte alla fotografia sono veramente molte, e molte sono state , una più stimolante dell’altra.
Corpo e figura umana nella fotografia* Elio Grazioli