Lo fissammo come se fosse stato un fantasma. Più ancora del portamento pieno di sicurezza, dell’aria aristocratica, del sorriso appena accennato e vagamente altezzoso, ciò che mi colpi
– con me anche gli altri – fu la sua eleganza. Per quanto
riguardava l’abbigliamento, infatti, io e i miei compagni costituivamo una congrega ben squallida. Le nostre madri erano convi nte che per andare a scuola andasse bene qualsiasi cosa, purché fatta di stoffa robusta e resistente
. Visto che l’interesse nei confronti delle ragazze era ancora sopito, non ci importava molto di farci vedere con indosso quell’insieme penoso di giacche e pantaloni corti o alla zuava, tutti ugualmente pratici e funzionali, acquistati
nella speranza che sarebbero durati finché non fossimo cresciuti troppo per portarli.
Ma il ragazzo che ci stava davanti era diverso. I pantaloni lunghi che portava erano di ottimo taglio e perfettamente stirati, ben diversi dai nostri confezionati in serie. L’abito dall’aria costosa era ricavato in un tessuto grigio chiaro a spina di pesce, di sicura fabbricazione inglese. La camicia azzurra e la cravatta blu a pallini bianchi facevano apparire le nostre, per contrasto, sporche, unte e sdrucite. Anche se ogni tentativo di eleganza costituiva ai nostri occhi un segno di effeminatezza, non potemmo impedirci di provare invidia nei confronti di quella figura, che trasudava agio e distinzione
***
Tre giorni dopo, il quindici marzo – una data che non dimenticherò più – stavo tornando a casa da scuola. Era una sera
primaverile, dolce e fresca. I mandorli erano in fiore, i crochi avevano già fatto la loro comparsa, nel cielo – un cielo nordico in cui indugiava un tocco italiano – si mescolavano il blu pastello e il verde mare. Davanti a me vidi Hohenfels; pareva esitare come se
fosse in attesa di qualcuno. Rallentai – avevo paura di oltrepassarlo – ma dovetti comunque proseguire perché sarebbe stato ridicolo non farlo e lui avrebbe potuto fraintendere la mia indecisione. L’avevo quasi raggiunto, quando si voltò e mi sorrise.
Poi con un gesto stranamente goffo ed impreciso, mi strinse la mano tremante. «Ciao, Hans,» mi disse e io all’improvviso mi resi conto con un misto di gioia, sollievo e stupore che era timido come me e,come me, bisognoso di amicizia. Non ricordo più ciò che mi disse quel giorno, né quello che gli dissi io. Tutto quello che so è che, per un’ora, camminammo avanti e indietro come due giovani innamorati, ancora nervosi, ancora intimiditi. E tuttavia io sentivo che quello era solo l’inizio e che da allora in poi la mia vita non sarebbe più
stata vuota e triste, ma ricca e piena di speranza per entrambi.Quando infine lo lasciai, percorsi in un batter d’occh
io la strada che mi separava da casa. Ridevo, parlavo da solo, avevo voglia di piangere, di cantare e trovai ben
difficile non rivelare ai miei genitori la mia felicità, non dire loro che la mia vita era cambiata, che non ero più un mendicante, ma
tutt’a un tratto ero diventato una specie di Creso. Per fortuna i miei genitori erano troppo occupati da altro per notare il cambiamento.
***
mia madrea[…] Di rado trovava il tempo per leggere, ma
di tanto in tantoveniva in camera mia, guardava con nostalgia i miei libri, ne toglieva uno o due dallo scaffale, li spolverava e li rimetteva a posto.
Poi mi chiedeva come andava la scuola, ottenendone in cambio un immancabile “benissimo”, borbottato con voce brusca, e
infine mi lasciava, portando con sé gli eventuali calzini da rammendare o le scarpe da risuolare. A volte, con gesto impacciato, mi appoggiava la mano sulla spalla, ma ormai lo faceva sempre più sporadicamente, avvertendo la mia resistenza persino nei confronti di espansioni così modeste. Solo quando ero malato riuscivo ad accettare la sua compagnia e mi arrendevo con ricono
scenza alla sua tenerezza repressa.
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Un paio di settimane dopo mi invitò nuova mente a casa sua. Tutto si svolse esattamente come la volta precedente:
chiacchierammo, osservammo, paragonammo, ammirammo. Anche stavolta, a quanto pareva, i suoi genitori erano assenti, ma io
non me ne dolsi, anche perché ero piuttosto timoroso di incontrarli. La quarta volta
che ciò avvenne, tuttavia, cominciai a sospettare che non si trattasse di una coincidenza e a temere che mi invitasse unicamente quando
i suoi genitori erano via.
Nonostante mi sentissi vagamente offeso, non osai chiedergli delle spiegazioni al proposito.
Poi un giorno mi tornò in mente la fotografia di quel tipo che assomigliava tanto
a Hitler, ma subito mi vergognai di avere sospettato, anche per un attimo, che i genitori del mio amico avessero rapporti con un indivi duo del genere.
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