Si soffre ridendo. Ridendo con gli amici al bar, parlando al telefono o chiacchierando con uno sconosciuto alla fermata dell’autobus. Si soffre con l’anima in mano, sforzando le labbra a mettersi in una posizione corretta e credibile dinanzi alla felicità.
E non lo sapranno, loro. Non sapranno che stai male dentro, che cambi ogni momento, ogni cosa è diversa, che il nero che ora colora i tuoi capelli è il nero che hai dentro, che scendi una fermata prima del solito con la speranza di vederlo, almeno un secondo, seduto li. Che al tavolino ti siedi con il viso rivolto alla strada, che senti ma non ascolti, che fingi, non hai un minimo di interesse, che ti trovi in un ristorante o al Mc Donald non t’importa, non t’importa manco cosa mangi. E rivedi film, riascolti canzoni, rileggi libri e in essi ci trovi lui. Ogni parola, ogni lettera, in ogni frase. E cerchi di rimettere i pezzi insieme, ma sono cosi tanti ‘sti pezzi che non riusciranno a ricomporti, a meno che con qualcosa in più. Non sarai tu, non come prima. Il telefono squilla, la voglia non c’è, la speranza è vana. Il suo nome non comparirà sul telefono, tanto meno non vedrai lui sotto al tuo palazzo. Comunque sei stata tu a scrivere la parola ‘Vaffanculo’ sull’ultima pagina di questa storia. Le lacrime e le parole e le ore a letto non serviranno a molto.
Sarah.
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