Accadde in quell’età… La poesia
venne a cercarmi. Non so da dove
sia uscita, da inverno o fiume.
Non so come né quando,
no, non erano voci, non erano
parole né silenzio,
ma da una strada mi chiamava,
dai rami della notte,
bruscamente fra gli altri,
fra violente fiamme
o ritornando solo,
era lì senza volto
e mi toccava.
Non sapevo che dire, la mia bocca
non sapeva nominare,
i miei occhi erano ciechi,
e qualcosa batteva nel mio cuore,
febbre o ali perdute,
e mi feci da solo,
decifrando
quella bruciatura,
e scrissi la prima riga incerta,
vaga, senza corpo, pura
sciocchezza,
pura saggezza
di chi non sa nulla,
e vidi all’improvviso
il cielo
sgranato
e aperto,
pianeti,
piantagioni palpitanti,
ombra ferita,
crivellata
da frecce, fuoco e fiori,
la notte travolgente, l’universo.
Ed io, minimo essere,
ebbro del grande vuoto
costellato,
a somiglianza, a immagine
del mistero,
mi sentii parte pura
dell’abisso,
ruotai con le stelle,
il mio cuore si sparpagliò nel vento.
Pablo Neruda
***
un senso sorprendente da ordinari
significati, essenze così immense
da specie familiari
morte alla nostra porta
che stupore ci assale
perché non fummo noi
a fermarle per primi.
Rivelatore d’immagini,
è lui, il poeta,
a condannarci per contrasto
ad una illimitata povertà.
Della sua parte ignaro,
tanto che il furto non lo turberebbe,
è per se stesso un tesoro
inviolabile al tempo
Emily Dickinson
***
O mia poesia, salvami,
per venire a te
scampo alle invitte braccia del demonio:
nel sogno bugiardo
agguanta la mia gonna la sua fiamma
e io vorrei morire
per i mille patimenti che m’infligge.
Nulla vale la durata di una vita
ma se mi alzo e divoro
con un urlo il mio tempo di respiro,
lo faccio solo pensando alla tua sorte,
mia dolce chiara bella creatura,
mia vita e morte,
mia trionfale e aperta poesia
che mi scagli al profondo
perché ti dia le risonanze nuove.
E se torno dal chiuso dell’inferno
torno perché tu sei la primavera:
perché dunque rifiuti me germoglio,
casto germoglio della vita tua?
Alda Merini
***
È come a un uomo battuto dal vento,
accecato di neve – intorno pinge
un inferno polare la città-
l’aprirsi, lungo il muro, d’una porta.
Entra. Ritrova la bontà non morta,
una dolcezza di un caldo angolo. Un nome
posa dimenticato, un bacio sopra
ilari volti che più non vedeva
che oscuri in sogni minacciosi.
Torna
egli alla strada, anche la strada è un’altra.
Il tempo al bello si è rimesso, i ghiacci
spezzano mani operose, il celeste
rispunta in cielo e nel suo cuore. E pensa
che ogni estremo di mali un bene annuncia.
Umberto Saba