Fermate, voi che andate, i vostri passi.
Sappiate che qui riposa uno che molto amò
la bellezza del mondo: gli alberi, i libri,
la musica, l’estate, le ragazze.
Non domandate chi fu, né da quando
è ormai silenzio, oblio delle cose.
Nella terra che copre le sue spoglie
quietamente riposate un momento.
E proseguite poi il vostro cammino
sotto il propizio sole che dalla sua notte auspica
EPITAFFIO, ELOY SÁNCHEZ ROSILLO
***
Può darsi che tu dica: «L’estate che verrà
voglio tornare in Italia», o: «L’anno che oggi inizia
lo devo usare bene; con un po’ di fortuna
finirò il mio libro», e poi: «Quando crescerà
mio figlio, che farò senza il dono dell’infanzia?».
Ma l’estate prossima, veramente, è già passata;
hai terminato ormai da molti anni quel libro
su cui lavori ora; tuo figlio si è fatto uomo
seguendo la sua strada lontano da te. I giorni
che verranno già son venuti. E poi cade la notte.
Allo stesso tempo respiriamo luce e cenere.
Principio e fine abitano lo stesso lampo.
PRINCIPIO E FINE, ELOY SÁNCHEZ ROSILLO
***
Solo la morte dice con franchezza
– e non a quelli che con lei vanno: unicamente
a chi rimane dopo il suo passare –
che qualcosa è finito. Tutti gli altri
fatti ed accadimenti nascondono il segreto
della loro stessa fine, inavvertita
al cuore e alla vista. Ma per fortuna non c’è
certezza sopra il punto in cui una cosa finisce:
conoscere sino alla fine sempre è dolore.
Così tesse la vita
i giorni e le notti dell’esistenza. E in quel
pietoso non sapere, in quella trama
di compassionevole oscurità,
non manca mai il filo luminoso
della speranza.
NON SAPERE, ELOY SÁNCHEZ ROSILLO
***
Nessuno potrà togliermi – credo – l’illusione
di sognare che è esistita questa mattina.
Si è fermato il tempo: sento il tuo ridere,
le tue parole di bambino. Mai sono stato
così in pace con tutto, così certo
della mia gioia. Giochi vicino all’acqua, ti aiuto
a raccoglier conchiglie, a costruire castelli
con la sabbia. Corri da un posto all’altro,
sguazzi, gridi, cadi, corri di nuovo,
quindi ti fermi accanto a me e mi abbracci
e io bacio i tuoi occhi, le tue guance, i tuoi capelli,
la tua infanzia gioiosa. Il mare è
molto azzurro e molto calmo. Lontano,
alcune vele bianche. Il sole lascia
il suo oro violento sulla nostra pelle.
Credo
che è vero questo miracolo, certo
l’immobile fluire della quieta mattina,
l’illusione di sognare il ristagno dolcissimo
in cui accadiamo come creature
contente di esser vive, felici di stare insieme
e di abitare la luce.
Ma sento, d’un tratto,
il rumore terribile e oscuro e velocissimo
del tempo quando passa, e la fermezza
del mio sogno si rompe; va in frantumi
– come un cristallo molto fragile – l’illusione
di essere qui, con te, vicino all’acqua.
Il cielo si fa scuro, il mare si agita.
Sento nel mio sangue la vertigine tremenda
dell’età: in un istante trascorrono molti anni.
E ti vedo crescere, e andartene. Non sei più
il bimbo che giocava col padre sulla spiaggia.
Adesso sei un uomo, e anche tu capisci
che mai ci fu, né c’è, né ci sarà questo giorno,
la bella favola dei miei occhi che ti guardano,
la leggenda impossibile della tua infanzia.
Sei solo, e mi cerchi. Ma io sono morto, forse.
Siamo le ombre di un sogno, nebbia, parole, nulla.
LA SPIAGGIA, ELOY SÁNCHEZ ROSILLO