Un libro esilarante, per veri intenditori di infelicità.
Stephen Littleword
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Da un essere umano, che cosa ci si può attendere?
Lo si colmi di tutti i beni di questo mondo, lo si sprofondi fino alla radice dei capelli nella felicità, e anche oltre, fin sopra la testa, tanto che alla superficie della felicità salgano solo bollicine, come sul pelo dell’acqua; gli si dia di che vivere, al punto che non gli rimanga altro da fare che dormire, divorare dolci e pensare alla sopravvivenza dell’umanità; ebbene, in questo stesso istante, proprio lo stesso essere umano vi giocherà un brutto tiro, per pura ingratitudine, solo per insultare.
Egli metterà in gioco perfino i dolci e si augurerà la più nociva assurdità, la più dispendiosa sciocchezza, soltanto per aggiungere a questa positiva razionalità un proprio funesto e fantastico elemento.
Egli vorrà conservare le sue stravaganti idee, la sua banale stupidità…”
Queste parole uscirono dalla penna dell’uomo che Friedrich Nietzsche considerava il più grande psicologo di tutti i tempi: Fédor Michajlovic Dostoevskij.
E tuttavia esse esprimono, anche se in forma piacevole e convincente, ciò che la saggezza popolare conosce da sempre: nulla è più difficile da sopportare di una serie di giorni felici.
È giunta l’ora di farla finita con la favola millenaria secondo cui felicità, beatitudine e serenità sono mete desiderabili della vita. Troppo a lungo ci è stato fatto credere, e noi ingenuamente abbiamo creduto, che la ricerca della felicità conduca infine alla felicità.
Paul Watzlawick, Istruzioni per rendersi infelici
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Come si fa a diventare giorno dopo giorno avversari di noi stessi? …Si tratta in fondo della convinzione secondo cui c’è un unico punto di vista valido: il proprio. Si pervenga una volta a questa convinzione e ben presto si dovrà concludere che il mondo sta andando in rovina. Ed è qui che si distinguono gli esperti dai dilettanti. Questi ultimi finiscono a volte per alzare le spalle e a volte per arrangiarsi. Chi invece rimane fedele a se stesso e ai propri principi non è disposto a nessun facile compromesso; posto di fronte alla scelta tra l’essere e il dover essere, di cui già parlano le Upa-nishad, egli si decide incondizionatamente per il mondo come deve essere e rifiuta il mondo quale esso è. Come un capitano, egli guida con fermezza la nave della propria vita nella notte tempestosa, una nave che anche i topi hanno abbandonato. È proprio un peccato che dal suo repertorio sembri mancare un’aurea massima degli antichi romani: Ducunt fata volentem, nolentem trahunt — il fato conduce dolcemente chi lo segue, trascina chi gli resiste. … Il semplice fatto che il prossimo gli consigli qualcosa è quindi un motivo per rifiutare, anche nel caso in cui seguire tale consiglio sarebbe oggettivamente nel suo stesso interesse. …Ma il vero genio naturale va ancora più in là e in atteggiamento di eroica coerenza rigetta anche ciò che a se stesso appare come la migliore raccomandazione, in quanto raccomandazione fatta a se stesso. Il serpente, cioè, non solo morde la propria coda, ma divora se stesso, e così si determina un ulteriore e del tutto particolare stato di infelicità.
Ai miei lettori poco dotati posso soltanto presentare questa condizione come sublime ideale, ma per loro del tutto irraggiungibile.
Paul Watzlawick, Istruzioni per rendersi infelici
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Si dice che il tempo guarisca ferite e dolori. Questo può essere vero, ma non dobbiamo scoraggiarci perché è senz’altro possibile proteggersi da questo effetto del tempo e fare del passato una fonte di infelicità.
Paul Watzlawick, Istruzioni per rendersi infelici
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Come tanti segnali indicatori, auree massime ci mostrano la strada per l’infelicità; esse sono fissate dal sano buon senso, per non parlare della sana sensibilità popolare o addirittura dell’istinto per ciò che avviene nel profondo. Alla fin fine è del tutto marginale la scelta del nome per questa meravigliosa facoltà. Si tratta in fondo della convinzione secondo cui c’è un unico punto di vista valido: il proprio. Si pervenga una
L’Inferno di Dante è di gran lunga più geniale del suo Paradiso; lo stesso vale per il Paradiso perduto di Milton, in confronto al quale il Paradiso riconquistato è del tutto insipido; la caduta, nella Leggenda di ognuno di Hugo von Hofmannstahl, è appassionante, mentre l’intervento finale degli angioletti salvatori fa una penosa impressione; il Faust I commuove fino alle lacrime, il Faust II fa sbadigliare. Parliamoci chiaro: cosa e dove saremmo senza la nostra infelicità? Essa ci è, nel vero senso della parola, dolorosamente necessaria.
Paul Watzlawick, Istruzioni per rendersi infelici
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Prima di morire, una giovane moglie strappa al marito la promessa solenne di non avere relazioni con altre donne dopo la sua morte. “Se tu non mantieni la promessa, il mio spirito ritornerà e non ti darà pace.” Per un po’ l’uomo le si mantiene fedele, ma dopo alcuni mesi conosce un’altra donna e se ne innamora. Poco dopo comincia a presentarglisi ogni notte un fantasma, che lo accusa di aver mancato alla parola data. Che si tratti di un fantasma è per l’uomo fuori discussione, perché esso si dimostra informato non solo su ciò che avviene quotidianamente tra lui e la nuova donna, bensì anche riguardo a pensieri segreti, speranze e sentimenti.
Quando la situazione gli diventa insopportabile, l’uomo si rivolge a un maestro zen e gli chiede un consiglio. “La sua prima moglie è diventata un fantasma ed è a conoscenza di tutto ciò che lei fa,” gli spiegò il maestro.
“Qualunque cosa lei faccia o dica, ogni suo gesto nei confronti della donna che ama, il fantasma lo sa. Deve essere perciò uno spirito sapientissimo e lei dovrebbe in realtà esserne meravigliato. La prossima volta che appare, faccia un patto con lui: gli dica che è molto bene informato e che non si può nascondergli nulla, ma che lei romperà il suo fidanzamento e non si risposerà solo se risponderà a una domanda.”
“Che domanda devo porgli?” chiese l’uomo.
Il maestro rispose: “Prenda una bella manciata di fagioli e gli chieda se saprebbe dirne il numero esatto.
Se non saprà rispondere, lei avrà la certezza che si tratta di un parto della sua fantasia e non sarà più disturbato.”
Quando la notte successiva il fantasma della moglie si ripresentò, egli lo lusingò facendo le lodi della sua saggezza.
“Infatti,” rispose il fantasma, “so anche che oggi sei andato da un maestro zen.”
“E allora, visto che sai tante cose,” ribatté l’uomo, “dimmi quanti fagioli ho in mano.”
Paul Watzlawick, Istruzioni per rendersi infelici
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Istruzioni per rendersi infelici Paul Watzlawick |