Fulvio lo conosco da quando si aveva sei anni, rosso di capelli, occhi vivacissimi come il suo spirito.
Dopo quasi una vita l’ho ritrovato andando per ricordi fra le strade e i vicoli della città vecchia, a Trieste.
Grazie alle mia memoria visiva l’ho riconosciuto sotto uno spesso strato di anni, ma dopo alcuni minuti è uscito da quel bozzolo ed è tornato ad essere la mia prima giovinezza.
Ci siamo seduti ad un bar, in riva al mare.
Avevamo una infinità di cose da raccontarci: praticamente una vita.
Ma, come può succedere, dopo le prime battute siamo volentieri scivolati sulle nostre esperienze che forse ci avevano più colpiti e poi sul come stiamo vivendo oggi.
Mi racconta così una storia iniziata nell’Aprile dell’anno precedente quando un giorno, anche se un pò di malavoglia, era stato convinto da due coppie di amici ad andare a funghi nelle pinete che si trovano sulle colline a pochi chilometri.
Partiti molto presto ed arrivati sul posto si son subito divisi ed allontanati e così da solo inizia a girellare nell’ombra sempre più fitta ed accogliente, perso un po’ nei suoi pensieri.
Non è un esperto e quindi probabilmente non vede nulla che possa mettere nel cestino.
Ed è solo per la notevole differenza di colore che fra le foglie nota un qualcosa, un prodotto dei boschi che assomiglia tanto ad un fungo dalla larga testa rotonda di color rosa.
Si inginocchia per vedere meglio dove mettere la mano per coglierla e, nel mentre compie il gesto, quel rosa si muove…fa un leggero saltino a lato e si gira dopo un inequivocabile, delicato strillo.
Fulvio resta immobile, mano tesa e senza fiato, nemmeno un “Oh!”
Mi giura che quella piccola “cosa” è una graziosissima giovane”mula” in miniatura, dal cappello rosa a larghe tese che le copre anche le spalle, ma lascia sfuggire dei lunghi capelli color miele ambrato.
E’ scossa ed impaurita, si vede, chi non lo sarebbe al suo posto, e Fulvio si preoccupa subito di sussurrarle parole che la possano tranquillizzare.
A fatica e dopo non poco ci riesce pur non credendo ancora ai suoi occhi.
Mi dice così che quel fantastico esserino si è rivelato essere una fata, una delle ultime rimaste a causa del cambiamento che qulle creature subiscono con il sempre più probabile contatto con gli esseri umani.
Fulvio giura più volte di non rivelare quell’incontro e si danno così appuntamento di lì a pochi giorni ed è ben felice di aver l’occasione di tornarci da solo, se non altro per essere certo di non aver sognato.
Passa del tempo e nasce così un’amicizia fuori dalla realtà e nessuno dei due riesce più a restare lontano dall’altro, tant’è vero che finalmente un giorno lei si fa convincere a seguirlo al suo rientro in città.
Fulvio la tiene nel taschino della camicia e inizia così quella che è la parte più stupefacente di questa avventura.
Giorno dopo giorno nasce qualcosa che assomiglia ad un sentimento da ritenere impossibile essendo per natura esseri così differenti, appartenenti a mondi che nulla hanno in comune, spinti forse anche dalla curiosità di uno verso l’altra e viceversa.
Qui Fulvio scopre però che questa sua piccola compagna inizia a trasformarsi. Se ne accorge quando vede che il taschino non è più sufficiente ad accoglierla: sta crescendo e le sue dimensioni aumentano giorno dopo giorno.
Le loro fughe dalla gente li costringono ad usare contenitori sempre più grandi fino a che prima uno zaino e poi anche una valigia non bastano più.
Non ci si può recare in un bosco, a funghi, con una valigia.
Cerchiamo di essere seri.
Non possono però più lasciarsi, si sentono già troppo legati e lei lascia il suo mondo e si trasferisce in casa sua, lui è solo, non ha mai trovato l’altra metà del suo cielo.
Io son rimasto sempre zitto in ascolto, non volevo interrompere quel suo racconto, ma a questo punto pur sentendo ancora la sua voce ho iniziato a guardarlo con più obiettività. Avevo davanti a me un coetaneo ancora ragazzino, con i capelli più che grigi, le sue lentiggini storiche e la sua immaginazione galoppante. Poco era cambiato. Mi è venuto un groppo in gola di fronte ad una tragica realtà, vedevo e ascoltavo soprattutto dei danni che il tempo aveva causato e mi chiedevo se anche a me stava succedendo la stessa cosa, se anch’io ero visto dagli altri così come vedevo lui.
Mi stavo commovendo ed ascoltavo sempre più attento le sue parole, dette in quel bel dialetto quasi dimenticato e che lentamente ricominciavo ad usare, cercando degli spiragli che mi facessero ricredere sulla sua condizione e senza far trasparirre i miei pensieri.
Fulvio diventa più rapido nel racconto.
Mi narra come quella fata sia divenuta ormai donna e che non lo abbia più lasciato.
Ha sì la contina paura che lei possa scomparire e questo lo spaventa, ma è felice nel poter vivere tutti quei momenti che si sono regalati.
Si interrompe, alza gli occhi guardando alle mie spalle ed è in piedi con un largo sorriso ed è così che lei mi arriva a fianco: alta, capelli lunghi fin sulle spalle, occhi scuri e sul capo un cappello leggero a larga tesa, non più rosa ma azzurro e toni blu, un fiore in organza appuntato …non vedo altro.
Abbasso gli occhi che mi si stavano velando ed i miei piedi affondano fra muschi e foglie umide, chiudo gli occhi e non sento più il salso del mare: resina e dolci sapori freschi.
Resto di sasso, incapace di fare un gesto e dire una parola.
Quella che ho davanti è il sogno della mia vita, è la persona che ho sempre desiderato avere a fianco e quella che ho trovato e vorrei se ne andasse mai.
Non l’ho detto a Fulvio.
Mi avrebbe dato del matto, lui.
E qui mi fermo, non proseguo per ora, devo riordinare le idee e chissà che in un altro momento non possa raccontare anche a te, che mi hai seguito sin qui, come prosegue la storia.
Porta pazienza.
E giovedì prossimo vai a camminare nei boschi stando bene attento dove metti i piedi.
Sotto delle foglie potrebbe esserci la realtà che stai vivendo o, almeno, il tuo sogno.
Fulvio
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